di Tonino Bucci

A Beppe Grillo la strategia comunicativa non fa difetto. Non butta mai lì per caso gli argomenti. Negli ultimi tempi, per esempio, insiste molto sulla faccenda della democrazia interna del Movimento 5 Stelle. Da abile comunicatore deve essersi accorto che è un terreno minato. Intendiamoci, nelle adunate di popolo – così le chiama lui – ci ha sempre tenuto a presentare il M5S come un nuovo fenomeno politico che non ha più nulla a che fare con i partiti – tutti i partiti – e che cambierà la democrazia.

Oggi però, dopo l'exploit delle amministrative, il suo movimento governa le città. Amministrare non è uno scherzo. Hai voglia a decantare il web come il modello di sviluppo del domani. Passi l'idea di far funzionare internet come un luogo di consultazione permanente. La rete può rivitalizzare la partecipazione dei cittadini alla politica, inibiti da anni di passività e dall'abitudine a delegare. Ma quando si tratta di formare una giunta, di scegliere gli assessori, di stabilire a chi spetta in ultima istanza prendere le decisioni, o si è in grado di far pesare il principio di “una testa, un voto” anche nelle fila del proprio movimento oppure il discorso sulla democrazia diretta diventa un boomerang. Non si può decretare la morte del parlamento perché «è nominato da quattro o cinque segretari di partito» e poi, in casa propria, comportarsi da proprietario unico del marchio del M5S. Il problema è delicato e Grillo lo sa. Non per niente nell'intervista rilasciata a Gian Antonio Stella (e a chi se non al grande inquisitore dei partiti?) e pubblicata sul settimanale Sette del Corriere, Grillo parla ininterrottamente di «rivoluzione culturale». «Noi vogliamo una cosa nuova. Una iperdemocrazia senza i partiti. Che non contempla i partiti. Una democrazia con al centro i cittadini. Che votano».
Fatto sta però che dentro il Movimento 5 Stelle si vota poco. Gira voce che se entri in rotta di collisione con Grillo, sei finito. Congressi, organismi e dirigenti sono concetti superati, roba da partiti in via di putrefazione. Qui, nel M5S è vietato delegare. Ma, alla fine, chi decide se qualcuno può entrare nel M5S o, al contrario, ne deve essere espulso? Nelle Cinque stelle il copyright è nelle mani di Grillo. Punto. «Certo. È mio e deve rimanere mio perché è la garanzia che chi si iscrive deve essere incensurato e mi deve dare la fedina penale. Chi si iscrive deve essere cittadino italiano, deve risiedere in Italia, deve pagare qui le tasse, non deve essere iscritto a un altro partito. Io controllo queste cose qua. Ho i magazzini pieni di fedine penali e certificati di residenza. Io e Gianroberto Casaleggio ci facciamo un mazzo così. Controlliamo tutto». Appunto.
E a proposito di Gianroberto Casaleggio – a detta di molti l'eminenza grigia che ispirerebbe Grillo da dietro le quinte – anche lui ha sentito il bisogno di intervenire pubblicamente per dare la sua versione. In una lettera al direttore del Corriere spiega il suo ruolo nel M5S. «Ho scritto molti articoli e alcuni libri sulla Rete. Nel 2004 Beppe Grillo ne lesse uno: Il Web è morto, viva il Web, rintracciò il mio cellulare e mi chiamò. Lo incontrai alla fine di un suo spettacolo a Livorno e condividemmo gran parte delle idee. In seguito progettammo insieme il blog beppegrillo.it, proponemmo la rete dei Meetup (gruppi che si incontrano sul territorio grazie alla Rete), organizzammo insieme i Vday di Bologna e di Torino» e altri eventi, tra cui l'incontro nazionale a Milano, il 4 ottobre 2009, al teatro Smeraldo, nel quale «prese vita il MoVimento 5 Stelle. A chi si chiede chi c'è dietro Grillo o si riferisce a “un'oscura società di marketing” voglio chiarire che non sono mai stato “dietro” a Beppe Grillo, ma al suo fianco». E ancora: «Sono in sostanza cofondatore di questo movimento insieme a lui. Con Beppe Grillo ho scritto il “Non Statuto”, pietra angolare del MoVimento 5 Stelle prima che questo nascesse, insieme abbiamo definito le regole per la certificazione delle liste». Insieme hanno anche scritto un libro, uscito di recente per Chiarelettere, Siamo in guerra. «In questi anni ho incontrato più volte rappresentanti di liste che si candidavano alle elezioni amministrative, per il tempo che mi consentiva la mia attività, per offrire consigli sulla comunicazione elettorale.
Non sono mai entrato nell'ambito dei programmi delle liste, né ho mai imposto alcunché. A chi mi ha chiesto un consiglio l'ho sempre dato, ma in questo non ci trovo nulla di oscuro. Mi hanno attribuito dei legami con i cosiddetti poteri forti, dalla massoneria, al Bilderberg, alla Goldman Sachs con cui non ho mai avuto nessun rapporto, neppure casuale. Dietro Gianroberto Casaleggio c'è solo Gianroberto Casaleggio».
Gianroberto ha iniziato come amministratore delegato di Webegg, una joint venture tra Olivetti e Finsiel. Poi nel giugno 2002 Olivetti cede la propria quota a IT Telecom Spa la quale dà vita a Netikos Spa. È in questa società che Casaleggio entra nel cda assieme a Michele Colaninno. Nel 2004 volta pagina, abbandona tutto e con altri dirigenti Webbeg fonda la Casaleggio Associati, la società di marketing e comunicazione che oggi, tra le altre cose, gestisce il blog di Beppe Grillo. Ma qual è la mission della Casaleggio Associati? Fornire consulenza di rete per le aziende, nonché produrre studi sull'economia digitale. «La consulenza strategica – si legge nel sito della società – ha l'obiettivo di indirizzare le aziende nelle scelte rese necessarie dalla Rete e di consentire la definizione di obiettivi misurabili in termini di ritorno economico, in modo da determinare lo sviluppo del business dell'azienda, sia nel medio, sia nel lungo termine». La Casaleggio, insomma, vende strategie e servizi di consulenza e in cambio promette guadagni alle imprese che investono nella rete. La strategia del web marketing, per esempio, che mira a promuovere un marchio tramite internet. «L'utilizzo del blog – scriveva già nel 2005 Davide Casaleggio, altro socio fondatore della società – ha sempre più impatto anche per le aziende per comunicare in modo diretto con il mercato online. Le aziende possono gestire direttamente la loro comunicazione informale con il mercato anticipando eventuali blog esterni: un esempio di successo è Fastlane, il blog della General Motors», nel quale «i vertici della Gm non passano tramite l'ufficio stampa e con un linguaggio diretto riescono a creare fiducia sul mercato». I blog e i social software che permettono l'interazione tra gruppi di persone «sono stati adottati con successo anche all'interno delle aziende». Gli utilizzi «spaziano da forum di discussione a blog di gruppi di lavoro a blog personali per condividere esperienze e conoscenze personali a blog direzionali per comunicare il pensiero della direzione».
La strategia del web marketing, spinta all'eccesso, diventa marketing virale quando si ricorre all'azione di finti utenti che entrano nei social network – facebook è il bersaglio preferito – per sostenere opinioni in linea con gli interessi di una determinata azienda, fino a condizionare le idee di interi gruppi in rete. L'economia digitale, vista così, ha poco a che fare con l'utopia di una democrazia diretta incentrata sul web e molto invece col business. Siamo distanti dalle teorie sostenute dallo stesso Gianroberto Casaleggio ai suoi esordi – per esempio, in Web ergo sum, un libro del 2004 pubblicato da Sperling & Kupfer – quando internet incarnava la rivoluzione contro il consumismo e le merci fisiche, una sorta di paradiso a portata di mano. I social network sono una fabbrica di relazioni, ma rappresentano anche un'occasione ghiotta per le aziende, che possono accedere a enormi banche dati sugli orientamenti dei consumatori e, persino, modificarne le opinioni.
Ma cosa succede se le strategie di comunicazione del web si spostano dal marketing alla politica vera e propria? Negli Stati Uniti l'uso della rete nelle campagne elettorali risale al '92 con l'utilizzo della posta elettronica da parte dello staff di Clinton. Oggi nelle rubriche dei candidati alle presidenziali Usa giacciono ormai milioni di indirizzi email. Tramite la posta elettronica si possono inviare messaggi su misura dei destinatari e a costi irrilevanti. Col tempo la comunicazione politica ha affinato la strategia del targeting, ossia dell'individuazione di gruppi di persone accomunate dagli stessi interessi. Una delle caratteristiche più interessanti dei siti web – scrive Donatella Campus, docente di scienze politiche e autrice di Comunicazione politica. Le nuove frontiere (edizioni Laterza) – è «la customization, ovvero la personalizzazione del sito a seconda dell'utente. Attraverso i cookies lasciati volontariamente o involontariamente dall'utente quando visita il sito è possibile riconoscerlo e personalizzare la grafica e i contenuti a seconda dei suoi interessi […]. Oggi è ormai prassi che elettori diversi, visitando lo stesso sito, accedano a pagine con contenuti diversi. Spesso gli utenti neppure sospettano di stare ricevendo un'informazione differenziata e personalizzata a seconda di quello che i gestori del sito pensano possano essere le loro preferenze in termini di politiche».
In Italia, per il momento, sembra fantascienza. O forse no. Le prossime elezioni, scrive profetico Gianroberto Casaleggio, si vinceranno in rete. Lo stesso Movimento 5 Stelle è un fenomeno della rete, dice. «Internet – scrive nel suo sito – non si sta più affiancando ai cosiddetti mainstream, ai telegiornali e alle televisioni, ma li sta lentamente sostituendo. La Rete è una conversazione tra persone che possono verificare le informazioni, che possono discuterne tra di loro. Non è quindi un media broadcasting, da uno a molti. Per questo sta trasformando completamente il modo di fare comunicazione». Alle prossime elezioni presidenziali negli Usa «Obama ha già vinto» perché rispetto agli altri candidati è il meglio posizionato su facebook, twitter e youtube. «Se confrontiamo i numeri dei candidati alle presidenziali Usa nei diversi social media, con quelli di Beppe Grillo si può vedere che su Twitter, You Tube e Facebook, Grillo si posiziona così: al terzo posto su Twitter (dietro Obama e Gingrich) con 541mila follower, al secondo su You Tube (dopo Barack Obama) con 89 mila iscritti al canale e al quarto posto su Facebook (dopo Obama, Romney e Paul) con 825 mila fan». Semplice, no?

 

 

 

 

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