di Guido Ambrosino

Nella notte di sabato, all'annuncio che il «lafontainiano» Bernd Riexinger aveva prevalso di misura su Dietmar Bartsch, leader dei «realpolitici», al congresso della Linke è scoppiato un tumulto. I «vincitori», balzati in piedi nel grande capannone che era stato un'officina di riparazione ferroviaria, hanno intonato l'Internazionale storpiandone una strofa, in modo che suonasse «...avete perso la guerra».

Un penoso sfottò da stadio.
Gregor Gysi, che nel 1989 riuscì a far nascere dalle ceneri della Sed honeckeriana la Pds, poi spiritus rector dell'unificazione con i seguaci di Oskar Lafontaine, è uscito terreo in volto.
La borghesia regna sovrana, nessuna lotta di classe è stata vinta al congresso di Göttingen, solo un braccio di ferro tra correnti. Ma che lo chiamino «guerra» è un sintomo dell'acredine accumulata. Alla Linke, dove continua litigiosamente a coabitare un arco di tendenze assai ampio, paragonabile a quello che in Italia va da Sel alla Federazione della sinistra, fino a sinistra critica o al partito comunista del lavoratori, è che nella sua componente moderata ha qualche personalità di amministratore locale che in Italia potremmo trovare nel Pd, è stata finora risparmiata la scissione. Ma se lo scontro interno continuerà con l'accanimento mostrato a Göttingen, la Linke non sopravviverà a lungo.
Ci si accapiglia sull'atteggiamento da tenere nei confronti della Spd. Se debba essere più dialogante, come vorrebbe Bartsch, per spianare la strada a coalizioni di sinistra, o più intransigente, come ammonisce Lafontaine, finché la Spd non si ravvederà dai suoi sviamenti e tradimenti neoliberisti.
Per statuto la guida va affidata a due presidenti. Due giovani donne, Katja Kipping e Katharina Schwabedissen, la prima dell'est, la seconda dell'ovest, defilate dalla contrapposizione tra i capiclan, si erano proposte come «terza via», per liberare il partito dalle avverse «cordate maschili». Una soluzione sicuramente simpatica, che non è stata accettata da Lafontaine: a rappresentare l'est nella presidenza, aveva detto alla vigilia, poteva pure andare Kipping. Ma al secondo posto, in rappresentanza delle regioni dell'ovest, doveva andarci un suo «uomo», il sindacalista di Stoccarda Bernd Riexinger. Così è stato.
Del tandem rosa è rimasta solo la ruota di Katja Kipping. Al primo scrutinio, riservato a candidate donne, ha prevalso con 371 voti (67%) su Dora Heyenn (162 voti, pari al 29%). L'amburghese Heyenn, funzionaria del sindacato degli insegnanti, a lungo militante socialdemocratica, era favorita da Bartsch: se il primo posto nella coppia di presidenza fosse andato a una donna dell'ovest, si sarebbe dovuto a maggior ragione lasciare il secondo posto a un rappresentante dell'est, come lui.
Katja Kipping è stata votata pure dai lafontainiani, in cambio di un poco piacevole baratto: la rinuncia di Katharina Schwabedissen a correre al secondo scrutinio, aperto a uomini e donne. Se avesse mantenuto la sua candidatura, i voti dei non-bartschiani si sarebbero divisi tra lei e Riexinger, e Bartsch avrebbe potuto prevalere. Capita la mala parata, Schwabedissen aveva annunciato il suo ritiro prima che iniziassero le operazioni di voto, pena il rischio di rappresaglie ai danni di Kipping.
Al secondo scrutinio, oltre a Bartsch e Riexinger, si sono presentati anche tre militanti di base senza nessuna chance, tanto per sfottere un po' gli stati maggiori: il primo non ha preso nessun voto, l'altro uno, il terzo due.
Per Bernd Riexinger 297 voti, pari al 53,5%. Per Dietmar Bartsch 251, il 45,2%.
Se si fosse votato con la stessa chiave di rappresentanza tra regioni dell'est e dell'ovest, Bartsch, assai popolare all'est dove si concentrano due terzi degli iscritti, avrebbe vinto. Non è andata così perché nel 2007, al momento della fusione tra la Wasg lafontainiana e la Pds, si decise di premiare i meno numerosi alleati dell'ovest con un più largo criterio di rappresentanza rispetto al numero di iscritti, in modo da assicurare alle regioni dell'ovest una quota di delegati pressoché pari a quella dell'est.
Anche a prendere per buona la quota, sottovalutata, del 45%, Bartsch ha grosso modo dietro di sé metà del partito «vero». Ma nel collegio di presidenza la sua parte non è rappresentata affatto, nemmeno se si considerano i quattro vicepresidenti eletti domenica. Sono Sahra Wagenknecht, portavoce della «sinistra anticapitalista» e compagna di Oskar Lafontaine, Caren Lay, con Katja Kipping nella corrente più libertaria e ecologista denominata «sinistra per l'emancipazione», Jan van Haken e Axel Troost, entrambi piuttosto «lafontainiani», fortunatamente del tipo «dialogante».
Per trovare due bartschiani, bisogna arrivare al segretario organizzativo Matthias Höhn e al tesoriere Raju Scharma.

 

il manifesto 5 giugno 2012

 

 

 

 

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