di Tonino Bucci

Loretta Napoleoni è un'economista accreditata. Vive e lavora a Londra e gode di una certa notorietà, anche in televisione. Ieri, ospite in collegamento al programma di Lucia Annunziata “In 1/2 h", si è presentata nel suo nuovo incarico di consigliere economico di Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma del Movimento 5 Stelle.

In studio c'era anche un altro ospite: il segretario della Fiom Maurizio Landini, reduce dall'incontro organizzato sabato a Roma dal suo sindacato con tutti i partiti della sinistra. In quei pochi istanti che la televisione concede i due, il sindacalista e l'economista in quota Grillo, hanno accennato a uno scambio di battute. Ma più che altro sembravano parlarsi da mondi incomunicabili. L'uno parlava di lavoro, l'altra di mutamento di paradigma della politica. L'uno poneva il problema di una sinistra capace di rappresentare i lavoratori, l'altra se la prendeva con i politici che usano l'auto blu. L'uno sosteneva che c'è bisogno di una politica alternativa alle ragioni dell'impresa e delle banche, l'altra che destra e sinistra non esistono più. L'uno diceva che bisogna rimanere nell'euro e cambiare l'Europa, l'altra che sarebbe meglio tornare alla lira.
Eppure non dovrebbe essere così complicato intendersi. In fondo, ambedue sollevano un problema di distribuzione asimmetrica di potere e di disuguaglianza sociale. Quando Landini ricorda che, mai quanto oggi, è cresciuto il numero di lavoratori salariati nel mondo e che questa massa enorme è subalterna al governo di imprese e banche, in fondo non dice una cosa tanto diversa dalla tesi di Loretta Napoleoni, secondo la quale esisterebbe una separazione netta tra un'élite del denaro e la maggioranza della popolazione.
Inoltre, tutti e due sollevano un problema di rappresentanza che il sistema politico non riesce più a garantire. In effetti, la Fiom è il sindacato che ha più insistito da qualche anno a questa parte sulla questione della democrazia nei luoghi di lavoro. Non si tratta soltanto del problema della rappresentanza politica e del rapporto tra lavoratori e partiti della sinistra. E' in gioco la fine del meccanismo della delega. Perché mai, per esempio, i lavoratori non dovrebbero avere la possibilità di esprimersi e votare sugli accordi che i sindacati firmano in loro nome? Dove sarebbe la differenza sostanziale tra la condizione dei lavoratori e quella - descritta dall'economista Napoleoni - della maggioranza della popolazione espropriata della facoltà di decidere dall'élite ricca? Il nodo è sempre quello: la crisi della democrazia (rappresentativa) e la frattura tra governanti e governati.
Perché allora due soggetti come la Fiom e il M5S non dovrebbero capirsi? Dipende soltanto da «diverse modalità» di discutere e di occupare lo spazio pubblico, come dice Landini in risposta a una domanda della conduttrice sul perché dell'assenza di Beppe Grillo a convegno della Fiom? Il sospetto è che col M5S sia così difficile parlare per una sorta di incomprensione sulle categorie di destra e sinistra. Quel che è ovvio - poniamo - dal punto di vista di un sindacato come la Fiom - che esiste il conflitto tra capitale e lavoro e che non è indifferente scegliere tra le ragioni dell'uno o dell'altro - non è altrettanto centrale nella visione politica del M5S. Per Landini il problema centrale è che i lavoratori non possono più votare «a scatola chiusa» e che la sinistra deve dotarsi di un programma alternativo a Berlusconi e anche a Monti. Lo stesso problema diventa, dal punto di vista del M5S, marginale o, addirittura, inesistente. Perché? La spiegazione di Loretta Napoleoni è che «destra e sinistra oggi non esistono più». E' come se la società contemporanea non potesse più dividersi al suo interno secondo le differenza “destra" e “sinistra". Al di fuori di una ristretta élite al comando dell'economia ci sarebbe, appunto, il solo corpo esteso e indifferenziato della stragrande maggioranza della popolazione, espropriata di tutto.
Varrebbe la pena seguire il ragionamento fino in fondo. Oggi c'è una buona parte di elettorato effettivamente convinto che destra e sinistra non esistano più o che non avrebbero più senso di esistere. Marco Revelli, in un suo libro pubblicato cinque anni fa, scriveva che «la perdita di operatività e di consenso delle tradizionali culture politiche strutturate sull'antitesi destra/sinistra può essere letta come il sintomo, inquietante, di una crisi sistemica in ambito politico» (“Sinistra destra. L'identità smarrita", Laterza). Se è così, c'è una ragione o, meglio, una causa politica del venir meno della distinzione destra/sinistra. La verità - inutile a nascondersi - è che lo spazio politico della Seconda repubblica è stato uno spazio terribilmente uniforme, monocromo, omogeneo. Non è che siano scomparse le ragioni obiettive per dirsi di destra o di sinistra. Sono i partiti che hanno smesso di distinguersi in destra e sinistra e che si sono omologati nella pratica. Quando sono andati al governo, che appartenessero all'uno o all'altro schieramento, i partiti hanno finito per comportarsi nello stesso modo o, quantomeno, per rendere poco visibile le differenze dei rispettivi programmi.
Ma se l'omologazione politica ha reso impossibile distinguere i partiti in destra e sinistra, ciò non vuol dire che non esistano (più) i fondamenti oggettivi per definire una politica di destra o di sinistra. Lo stesso movimento di Beppe Grillo ha inglobato nelle sue proposte molti temi di “sinistra". E' comprensibile che il M5S non si dichiari «né di destra né di sinistra» al fine di rimarcare la propria estraneità al sistema politico dei partiti della Seconda repubblica. Altra cosa, invece, è affermare che non esistono strategie di governo della società oggettivamente alternative tra loro, come se fosse indifferente scegliere tra destra e sinistra, tra le ragioni dell'impresa o quelle del lavoro, tra il mercato o un'economia a controllo pubblico. E' un paradosso, scrive sempre Revelli, che «questo appannamento (per usare un eufemismo) ed estenuazione della dicotomia destra/sinistra si manifestino proprio nel momento in cui, su scala globale, lo scandalo della diseguaglianza esplode in tutta la sua evidenza. Nella fase storica in cui, cioè, la questione dell'“eguaglianza" - che come ha ben dimostrato Norberto Bobbio costituisce il principale, se non l'unico, tema discriminante tra sinistra e destra - assume (o dovrebbe assumere) tutta la sua indilazionabile crucialità».
Destra e sinistra esistono e continueranno a esistere. Al limite, sono i partiti di destra o di sinistra che possono cessare di esistere o smettere di utilizzare l'una o l'altra delle due categorie. E' come se in caso di pioggia, dimenticando a casa l'ombrello, ci si aggrappasse all'alibi che nel mondo non esistono più gli ombrelli.

 

 

 

 

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