di Peppino Caldarola

Bersani è stato costretto a strappare la foto di Vasto perché Di Pietro non ha mai smesso di insultare il Pd. Questa è la tesi ufficiale. In effetti il leader dell’IdV ha concentrato il suo fuoco polemico contro il Pd persino sulla vicenda della mancata autorizzazione all’arresto di De Gregorio dimenticando che i due parlamentari fra i più discussi di questa legislatura, lo stesso De Gregorio e Scilipoti, li aveva eletti lui ed erano nel suo cerchio magico.

Tuttavia Di Pietro è fatto così, vede sempre le pagliuzze negli occhi degli altri e non le travi nei suoi.

La sua presenza nella foto di Vasto aveva inquietato molti leader del Pd ben più che la presenza di Vendola e ben più di Vendola si presentava come ingombrante nell’ipotesi di un rapporto con forze moderate. Di Pietro l’ha capito, ha capito cioè di non essere gradito, e alzando i toni si è intestato la rottura. Lo ha fatto anche e forse soprattutto per un altro motivo. Se si va a votare con questa o con un’altra legge elettorale che abbia lo sbarramento, il leader dell’Idv rischia di fare la fine di Bertinotti nel 2008. Senza apparentamenti può non portare più deputati in Parlamento, neppure se stesso. Ha quindi disperato bisogno di farsi alleati nel momento in cui ha capito che il Pd potrebbe sacrificarlo di fronte a una profferta che venisse da una o più liste moderate. Di Pietro per giunta sa che il suo elettorato è quello più sensibile all’attrazione grillina come ha dimostrato lo studio di Demoskopea pubblicato ieri dal “Corriere della sera”.

Nasce da qui allora il tentativo di Di Pietro di alzare ulteriormente i toni della sua polemica con il governo e con Bersani, di dichiarare la propria contiguità con la Fiom, di evitare polemiche con Grillo. Memore dell’esperienza di De Magistris e di Orlando il nuovo Di Pietro cercherà di cavalcare la sua diversità da tutti i partiti mirando anche a mettere in difficoltà Nichi Vendola costretto ad essere l’unico alleato radical del centro-sinistra. La svolta di Di Pietro e di Bersani farà bene a tutti e due. A Bersani toglie il problema di una campagna elettorale in cui avrebbe dovuto inseguire i toni esasperati dell’ingombrante alleato. A Di Pietro restituisce la titolarità dell’area giustizialista nel momento in cui altri cercano di prendere il suo posto.

Del resto Di Pietro, che è stato un buon ministro, non saprebbe fare una campagna elettorale in nome della governabilità e della rassicurazione come invece farà il Pd. Con il ritorno di Di Pietro l’area “anti-tutto” essa si affolla così in modo incredibile, ed è probabile che si cercherà di semplificarla cercando di formare quel quarto polo radicale con settori sindacali e i professori di “Alba”. Resta il dubbio su dove si collocherà Vendola. Nichi vede d’improvviso svanire il suo progetto di costruire un partito socialdemocratico di sinistra e contemporaneamente la propria premiership. Le cose sono andate più avanti e il suo partito è in mezzo al guado indeciso se seguire le sirene di un nuovo radicalismo ovvero mettersi nella prospettiva di fare cose assieme al Pd fino al punto di fondersi con esso. In questo caso perderebbe pezzi, ma acquisterebbe il ruolo politico di ri-fondatore del Pd nel momento in cui questo partito torna a guardare alle socialdemocrazie europee e i prossimi sviluppi del caso Lusi riveleranno la fragilità dell’alleanza inziale fra Ds e Margherita.

 

linkiesta.it

 

 

 

 

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