di Marco Sferini

Antonio Cassano, il grande calciatore azzurro, il grande sciupatore di femmine, colui avrebbe avuto così tante donne da non saper contare il numero delle sue avventure galanti. Questo fuoriclasse del pallone si è avventurato in una risposta ad un giornalista che gli chiedeva conto delle ipotesi di Alessandro Cecchi Paone su certe presenze gay all’interno della nazionale italiana di calcio: “Che? Ci sono dei froci nello spogliatoio. Problemi loro e non mi riguarda”.

Usa proprio la parola volgare, quella del volgo verrebbe da dire, ma anche quella propriamente invettiva, stigmatizzante, insultante.
Cassano ci scherza, col suo tipico accento pugliese che accavalla le parole: froci, gay, mezzo sesso, fa confusione, e fa anche un po’ pena. Ma fa anche tristezza vedere un giovane fortunato come lui ridere dell’omosessualità. Perché Cassano ride degli omosessuali? Perché dice che essere omosessuali è un “loro problema”? Perché problema?
E’ venuta l’ora di smetterla di stare sulla difensiva, qui non siamo nel campo del calcio, ma nel campo dei pregiudizi e degli insulti gratuiti che, proprio perché sragionati e fuori da ogni percorso logico, diventano ancora più affilati, pungenti.
Antonio Cassano potrebbe cavarsela dicendo di essere ignorante, magari anche un po’ buttero, burino. Ma non se la può proprio cavare così. Perché un uomo che arriva a rappresentare la nazionale di calcio insieme ad altre decine di uomini, che è pagato uno sproposito di milioni di euro per il suo professionismo indubitabile e visibile sul campo, ha il dovere di rispettare tutto e tutti. Prima che come calciatore dovrebbe farlo come essere umano. Se tanto non gli si può chiedere, lo faccia almeno come esponente pubblico, come personaggio pubblico, come esempio che dovrebbe guidare gli animi, le menti e le coscienze di tante generazioni giovani di questo Paese.
Penso che il punto più dolente di quello che viene definito un “inciampo”, una dichiarazione “schock” sia la leggerezza e la spensieratezza con cui il calciatore azzurro tratta la questione: tanto sono fatti nostri se siamo gay.
Qualcuno spieghi a Cassano che l’omosessualità non fa ridere e non deve far ridere. Perché mai l’omosessualità dovrebbe essere una burletta da trattare con aggettivazioni insultati e con corbellerie di parole in libertà tra i giornalisti? Essere omosessuali non è un “problema”. Punto primo. Essere omosessuali non deve essere un problema per nessuno. Punto secondo. Essere omosessuali non deve essere niente altro che una naturalissima condizione di espressione di un piacere, di una attrazione, di un sentimento per una persona del proprio sesso.
Solo l’ignoranza che genera il pregiudizio e la conseguente stupidità che ne deriva sono il fondamento di muri, stigme e differenziazioni umilianti che per millenni l’umanità si è portata dietro con la benedizione della chiesa, dei salotti per bene, delle corti reali e imperiali, eccettera, eccetera, eccetera.
Pochi giorni fa un signore, già candidato del movimento 5 Stelle, ha detto in televisione da privato cittadino che se si concede agli omosessuali di sposarsi, allora si può un giorno arrivare al matrimonio tra uomini e cani. Verrebbe da dire: cento, mille volte meglio sposare un quattrozampe che un duezampe senza un neurone in testa.
Ma sarebbe anche qui troppo semplice liquidare l’omofobia che fuoriesce dai nascondigli più reconditi della mente, dove magari era stata sepolta per tanti anni, per troppo tempo e che viene fuori sulla battuta di un giornalista, sulla domanda di un conduttore televisivo.
Se non sopportate gli omosessuali confessatelo prima di tutto a voi stessi e cercate di capire cosa vi da fastidio dell’essere omosessuali, dell’esistenza dell’omosessualità?
Vi dà noia che rompa il monopolismo dell’eterosessualità sull’intera umanità? Vi sconcerta che un uomo possa amare un uomo? Che una donna possa amare una donna? Vi ripugna, vi fa raccapricciare l’immagine di un bacio tra due uomini o due donne? Oh pardon… forse tra due donne no, visto che gli eterosessuali provano grande godimento, sovente, nell’assistere a scene di amore saffico.
Questo aumenta la loro virilità, la loro capacità di penetrazione mentale nel mondo femminile. Così almeno pensano loro. In realtà si tratta di una sovraeccitazione dettata dal fatto che al posto di una di quelle due donne o nel mezzo vorrebbero esserci loro. Si chiama frustrazione, carenza di affetto… per essere generosi con le definizioni.
Si potrà anche non credermi, ma io non ho mai provato nessun fastidio a vedere un uomo e una donna fare l’amore, baciarsi, e così via. Per forza! Ribattono i miei detrattori (già li sento…): loro due sono normali. Rieccola la normalità, la pendente mannaia che sta sul capo di tutti quei valorosi che tentano di spiegare che nessuno è normale e che la normalità, o quella che chiamiamo e definiamo tale, è sempre e solo coincidente con il concetto di “maggioranza”, ma non può essere universale. Semplicemente perchè non esiste un assoluto di questo tipo. Platone direbbe che possiamo avere l’idea della normalità, ma in questo frangente anche nel mondo delle idee del filosofo greco ci sarebbero dei grossi problemi ad isolare questa idea e a farla diventare un fenomeno da mostrare al mondo.
Perché mentre è possibile immaginare la felicità di tutti e per tutti, di ciascuno; mentre è possibile immaginare il dolore di tutti e per tutti, di ciascuno, ebbene non è possibile mettere il marchio di “una” normalità a tutte e tutti e a ciascuno di noi.
Non è un esercizio di retorica, nemmeno di filosofia spicciola, ma è una considerazione lampante, pratica, immediata. Ognuno di noi è differente da un altro per carattere, per istinto sessuale, per affinità con cose, colori, idee, persone.
La vita di ognuno di noi cambia ogni istante: e allora qual’è l’attimo “normale”? Quale è mai il tempo della normalità e quale quello abnorme, anormale, fuori dagli schemi?
Gli schemi, appunto. Noi viviamo di rigidità schematiche entro le quali abbiamo coltivato anche incosciamente i nostri timori, le nostre paure. Invece di considerarci uguali in diritti, in doveri, e considerarci uguali proprio nella diversità e nella specificità delle nostre virtù, cerchiamo l’omologazione, l’indistinzione e l’appartenenza ad una “maggioranza”. Ci fa paura essere minoritari, ci sentiamo pochi, soli, sperduti.
L’omosessualità è così il nemico da evitare, da scansare: “E’ un loro problema”, dice appunto Antonio Cassano. Noli me tangere! Non sia mai che la possibilità di provare un sentimento diverso da quello a cui sono stato abituato, crescendo nel tempo, possa turbare la mia vita, la mia esistenza e far crollare la certezza della virilità di me uomo famoso, uomo di cui sono note le gesta amatorie.
C’è sempre e solo la paura alla fine di ogni percorso pregiudiziale: verso l’omosessuale come verso il migrante; verso lo zingaro come verso l’handicappato. Abbiamo paura di poter essere quello che vediamo diverso da noi e abbiamo paura di poterlo diventare in qualche modo, di perdere una purezza che ci siamo dati e che ci tramandiamo nei secoli dei secoli.
Scrivendo queste righe, pensavo che sono fortunato: da gay, da uomo libero e consapevole delle mie pulsioni emotive e dei miei sentimenti, non ho mai avuto paura, un giorno, di poter amare una donna. Non l’ho nemmeno mai escluso. In questo, almeno in questo, sono certamente più ricco del grande Cassano.

 

 

 

 

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