di Romina Velchi
Luciano Violante, uno dei "saggi" incaricati di redigere la bozza sulle riforme istituzionali (con lui Adornato-Udc, Quagliariello-Pdl, Pisicchio-Api e Bocchino-Fli) la chiama «ottimizzazione della rappresentanza politica». Si riferisce, essenzialmente, alla riduzione del numero dei parlamentari che passeranno a 500 dagli attuali 630 alla Camera e a 250 dagli attuali 315 al Senato. Cui si accompagna una «correzione» dell'elettorato attivo e passivo, cioè una diminuzione dell'età per votare al Senato e per essere eletti in parlamento. E per essere più chiaro l'esponente del Pd aggiunge: «La questione dei costi è del tutto marginale».
Evviva la sincerità. Perché in effetti, se davvero si volevano ridurre i costi della politica, anziché infilarsi nel difficile percorso delle riforme costituzionali, bastava ridurre i compensi di deputati e senatori e magari anche degli alti burocrati di stato. La cosiddetta «ottimizzazione» della rappresentanza serve, in realtà, a rendere il nostro sistema istituzionale ancora più impermeabile al pluralismo e alla democrazia ed è in quella direzione che va la bozza di riforma sulla quale c'è l'ok bipartisan di Pd, Pdl e Terzo Polo. Come dimostra anche il rafforzamento dei poteri del premier: non solo il presidente del consiglio avrà la facoltà di revocare i ministri (facoltà della cui mancanza si è sempre lagnato Silvio Berlusconi), ma potrà anche «chiedere» al capo dello stato di sciogliere le Camere. Chiedere non è lo stesso che ottenere e sarà sempre il presidente della Repubblica a decidere, ma è evidente che già solo il fatto di poterlo proporre assegna al premier un potere di influenza enormemente accresciuto. Insomma, è un processo di «accentramento dei poteri nelle mani del governo e del premier», spiega Gianluigi Pegolo, responsabile del dipartimento Democrazia e istituzioni del Prc, di fatto a scapito del parlamento (e la sfiducia costruttiva, pure prevista nella bozza, non basta a mitigare la diminuzione del potere delle Camere). Ed è tale l'ansia di «ottimizzare» la rappresentanza e di forzare in senso federalista l'assetto dello stato che poco importa se l'impianto generale che ne esce rischia di essere un pasticcio, come per esempio la divisione («approssimativa e discrezionale», dice sempre Pegolo) dei compiti tra Camera e Senato: alla prima le materie di competenza dello Stato, al secondo quelle di competenza delle Regioni. Un risultato che si poteva ottenere con semplici modifiche ai regolamenti parlamentari, mentre non è detto che il lavoro legislativo delle Camere esca semplificato dalla fine del bicameralismo perfetto: basta pensare al cosiddetto «bicameralismo eventuale», cioè alla possibilità che uno dei due rami del parlamento chieda di occuparsi di un provvedimento che non gli compete. Già ci si immagina la confusione.
Ma la prova provata che tutta l'operazione mira essenzialmente a ridurre (altro che «ottimizzare») la rappresentanza e il pluralismo si trova nella proposta di riforma della legge elettorale sulla quale i soliti noti (Pd, Pdl, Terzo Polo) stanno lavorando e che, giocoforza, costituisce l'altra gamba su cui devono camminare le riforme istituzionali. Anche qui la mistificazione regna sovrana: lo chiamano proporzionale, ma di veramente proporzionale ha poco o nulla. Infatti, il sistema è congegnato in modo da scaricare la riduzione dei parlamentari sulle forze minori e permettere alle maggiori di autotutelarsi oltreche di contare di più. In pratica, vengono introdotti tre livelli: il primo è la soglia di sbarramento al 5%, sotto la quale non si ha diritto a parlamentari; il secondo riguarda le forze politiche che ottengono consensi tra il 5 e l'11%, le quali verrebbero "punite" con un numero minore di seggi rispetto ai consensi ottenuti; il terzo premia i partiti che superano l'11% con un numero di seggi superiore ai consensi reali. Si parla anche di un diritto di tribuna per i partiti minori di "ben" 14 seggi. Eccola di nuovo qua l'«ottimizzazione» di cui parla Violante; un imbroglio, un abuso con il quale i partiti maggiori - «con protervia e a prescindere persino dal tanto sbandierato problema della governabilità», insiste Pegolo - tentano di salvarsi dal discredito popolare e dalle contraddizioni interne.
Il paradosso è proprio qui: si parla di sistema proporzionale; si dice «basta con il bipolarismo cannibale», eppure il combinato disposto di riforme istituzionali e di nuovo sistema elettorale quasi certamente avrà l'effetto di spingere non verso un ritorno ad un sistema veramente parlamentare, nel quale il voto del cittadino conta in quanto tale e i rapporti di forza si misurano sui consensi effettivamente ottenuti, ma verso un più marcato bipartitismo se non, addirittura, verso le grandi coalizioni. Con il nuovo sistema elettorale, infatti, sarà difficile che un partito, anche se "premiato", possa governare da solo con l'appoggio di qualche formazione minore ridotta a satellite. E allora perché non ripetere l'esperienza del governo Monti, con lo stesso professore premier?
Il rischio concreto è che tutta l'operazione vada in porto rapidamente (anche se la riforma elettorale resta in stand by in attesa dell'esito delle amministrative, tanto che Adornato già mette le mani avanti e smentisce che sulla legge elettorale ci sia un «patto» tra Pd, Pdl e terzo Polo), perché si tratta di un compromesso che mette d'accordo più o meno tutti e raccoglie il consenso dell'80% delle forze presenti in parlamento, tale da evitare il ricorso al referendum.
Un primo assaggio si avrà con la modifica dell'articolo 81 con l'introduzione nella Costituzione del pareggio di bilancio. E' già partita una campagna per chiedere ai parlamentari di votare contro o astenersi per impedire il raggiungimento dei due terzi del totale e lasciare così la possibilità ai cittadini di esprimersi; e in questa direzione va la lettera che Paolo Ferrero, segretario del Prc, ha inviato ai leader di Pd e Idv, Bersani e Di Pietro. A maggior ragione lo si potrà fare per le riforme istituzionali messe in cantiere, che lorsignori hanno in programma di approvare a spron battutto addirittura entro l'anno. Per non dire che sulla nuova legge elettorale-truffa si potrà ricorrere ad un referendum abrogativo.
Martedì 6 Marzo 2012