di Keynes Blog
Vi sono circostanze politiche ed istituzionali che possono determinare il segno e la durata delle politiche economiche, più di qualsiasi altro fattore. E’ questo il messaggio che Robert Skidelsky, noto biografo di Keynes, trasmette dalla testata progressista “The New Republic”, tracciando un profilo comparato di quanto avvenuto negli Stati Uniti e nel Regno Unito in materia di politiche di intervento di stampo keynesiano, a partire dal periodo dell’attuale crisi e guardando a ritroso fino al periodo immediatamente successivo al secondo dopoguerra.
Quel che è accaduto dal 2008 può considerarsi realmente quel che viene ormai diffusamente definito “un esperimento naturale” della politica economica.
Stati Uniti e Regno Unito si sono trovati a sperimentare all’inizio della crisi un collasso finanziario di simile portata. Tutti e due i paesi hanno adottato all’inizio politiche di stimolo all’economia, ma a partire dal 2010 il Regno Unito si è portato sulla scelta dell’ “austerità”.
E’ importante riflettere sui passaggi politici che hanno accompagnato l’avvento della crisi nei due paesi. Se l’entrata nella crisi significava per gli Stati Uniti lasciarsi dietro un screditata amministrazione repubblicana, per il Regno Unito si verificava la situazione opposta, ossia quella di una fine fallimentare del governo laburista.
L’effetto più immediato di ciò è stata la vittoria dei tradizionali fautori della spesa pubblica negli Stati Uniti, e dall’altro, nel Regno Unito, dei sostenitori della disciplina di bilancio. In secondo luogo, negli Stati Uniti l’atteggiamento da parte dei repubblicani verso la spesa pubblica è stato da sempre relativamente più accomodante rispetto ai conservatori britannici, in nome della sicurezza nazionale. In terzo luogo vi è una differenza sostanziale tra il Tesoro degli Stati Uniti e quello del Regno Unito, per cui l’uno è un’agenzia del governo, mentre l’altro un organo da sempre preposto al controllo della spesa pubblica. Infine nel Regno Unito, sulla scorta delle altre vicende europee come quella della Grecia, si è sempre più radicata l’idea che i detentori di titoli sarebbero stati in guardia dai paesi con livelli di debito troppo elevato.
Questi aspetti spiegano in massima parte per Skidelsky la duratura fortuna di Keynes negli Stati Uniti più che in patria, soprattutto quando negli anni ’80 presero piede con Reagan e Thatcher le politiche liberiste. L’orientamento dei repubblicani a fare deficit nella difesa ha tenuto infatti in vita un certo keynesismo (il cosiddetto “keynesismo militare”) negli Stati Uniti, anche in quel periodo.
Nel corso dell’attuale crisi le scelte divergenti sul versante dello stimolo all’economia nei due paesi non hanno tardato a manifestare i loro effetti sulla crescita del Pil: per quanto lentamente, gli Stati Uniti hanno ricominciato a crescere, mentre il Regno Unito ha iniziato a contrarsi. Inoltre la disoccupazione negli Stati Uniti è scesa dell’1,4%, mentre nel Regno Unito è salita dello 0,2%. E tutto questo tenuto conto che Obama ha ottenuto una riduzione del deficit di 2,5 punti maggiore di quella ottenuta nel Regno Unito, pari a 1,9 punti. Sulla vicenda britannica si è espresso all’inizio di quest’anno anche Paul Krugman, con parole forti e chiare, sostenendo che: “nonostante il Regno Unito dovesse risultare un caso studio di austerità espansiva … i fatti hanno poi dimostrato comportamenti ed esiti peggiori di quelli registrati nel corso della Grande Depressione”.
Insomma, conclude Skidelsky, tutto questo non sorprende i keynesiani. Le politiche di austerità hanno indotto una doppia recessione nella maggior parte dei paesi europei. Forse ora l’atteggiamento sta cambiando: ma troppo lentamente e troppo tardi per far sì che l’economia mondiale fuoriesca da una recessione di lungo periodo.
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