di Gabriele Pastrello
Bisogna cercare di fare il punto. Non vi è dubbio che ci sia uno scontro interno alla dirigenza tedesca. In parte è dovuto a motivi elettorali; ma non è l'aspetto più importante. Certamente Merkel, da apprendista stregone, ha lanciato due anni fa, come guerra preventiva per raddrizzare la pericolante situazione elettorale della sua maggioranza, una campagna contro la presunta prodigalità dei paesi del sud in difesa del contribuente tedesco. Il tutto affatto pretestuoso, ma per l'opinione pubblica purtroppo molto credibile. E ha avuto successo. Un successo che però la destra tedesca le sta rivoltando contro.
Per il momento, la situazione è bloccata, non perché Merkel stia correggendo la sua posizione, ma perché ha ricevuto altolà internazionali non resistibili. Per ben due volte, il ministro Geithner è venuto in Europa, dopo ripetute pressioni pubbliche del presidente Obama nei confronti del governo tedesco. L'ha fatto a novembre, quando gli spread italiano, spagnolo e anche francese nei confronti dei Bund tedeschi si erano impennati, e l'ha fatto di recente in luglio dopo che la rincorsa degli spread, ricominciata in aprile, aveva mostrato segni di accelerazione.
Subito dopo la visita di Geithner in novembre, il governatore della Bce, Mario Draghi, aveva lanciato il suo programma di rifinanziamento triennale delle banche europee. La parolina magica che segnò il successo di quella mossa furono le parole «finanziamento illimitato», aggettivo che alludeva al ruolo di prestatore di ultima istanza delle banche centrali. La manovra ebbe per qualche mese successo, ma poi ricominciò il bombardamento della Bundesbank. In realtà, la mossa Draghi stava già esaurendo gli effetti positivi. Contemporaneamente ripartì la scommessa di speculatori internazionali contro l'euro. Una scommessa che aveva preso il volo dalla primavera 2011, quando alla Grecia fu imposto il primo bailout, con l'intervento del Fmi, segnale che l'Europa non riusciva a decidersi su misure di salvataggio autonome.
Di conseguenza, la situazione tra giugno e luglio si era fatta pesante. Il primo tentativo fatto da Monti a fine giugno di usare il fondo Esm per stabilizzare gli spread era rimasto sospeso per la furibonda reazione sia della Bundesbank che della destra tedesca. A questo punto era ripartita la pressione americana. Lo stesso Geithner spiegò sulla Stampa quello che tutti sapevamo: che Obama non voleva che la bomba euro facesse saltare la sua rielezione. Alla fine di luglio Draghi buttò una carta coperta sul piatto, dichiarando che era un asso; farò tutto quello che serve, disse, per salvare l'euro, e tenerci dentro la Grecia. Ma non disse cosa, per il banale motivo che una misura di emergenza non si dichiara, per evitare contromisure preventive.
Ripartì il contrattacco interno alla Germania: alcuni deputati, tra cui uno della Linke, portò l'approvazione del fondo Esm, il prevedibile strumento dell'intervento Draghi, davanti alla Corte costituzionale tedesca, che se la prese con calma rinviando tutto a settembre. Ma, nonostante le bordate della Bundesbank e di importanti politici della sua maggioranza, Merkel appoggiò Draghi, e lo stesso ha fatto il rappresentante della Germania nel board della Bce, Asmussen, che ha sposato la motivazione della linea Draghi, contro cui tutti gli attacchi non possono che fermarsi: non si tratta di salvare Stati in difficoltà, ha detto, bensì l'euro. E infatti, nonostante le bordate gli spread sono rimasto a livelli più bassi di quelli raggiunti nei giorni caldi.
A questo punto si possono tirare le somme: con tutta probabilità riusciremo a passare un agosto che si annunciava pericolosissimo; la Corte costituzionale, magari con delle riserve, permetterà che l'Esm entri in funzione, perché non si potrà assumere la responsabilità di una crisi dell'euro. Ma restano due punti deboli. Primo, gli spread sono calati, ma restano alti, rispetto ai livelli pre-crisi; cioè, i mercati hanno rinviato la resa dei conti, ma non hanno rinunciato all'attacco finale. Secondo, la strategia di compressione sociale su scala europea resta immutata. Di conseguenza, difficilmente alla Grecia verranno concessi sconti. Anzi, qualcuno si sta convincendo che lo scudo di Draghi è la mossa migliore per portare a termine questa strategia di compressione sociale. Non da oggi anche Monti ne è convinto. Forse è per quello che vede la fine della crisi. Invece, la crisi reale si sta sviluppando proprio adesso con effetti che potranno essere destabilizzanti, data la sua scala europea e mondiale, da Sud a Est e anche a Ovest, visto che nessuno vuole assolutamente invertire la strategia recessiva. E siccome si rifiutano di capire che è la posizione tedesca a accelerare la crisi, è improbabile che possano arrivare alle elezioni senza altri passaggi critici. Su questo potrebbero rompersi le corna.
da il manifesto