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120303leon“Lo stato sociale non è beneficenza, è un diritto. Rende più forte la democrazia ed è anche un elemento di sviluppo economico. È chiaro che mantenerlo e migliorarlo ha un costo, però produce guadagno; smantellarlo, invece, significa finire per spendere molto di più”.
Paolo Leon, economista keynesiano e docente di Economia all’Università di Roma Tre, intervistato dall’Unità al Convegno “Cresce il welfare cresce l’Italia”, esprime tutte le sue perplessità sulla riforma del mercato del lavoro, dicendosi scettico sui risultati in termini occupazionali:
“Deve aumentare la domanda di beni e servizi – spiega –, se si riduce il costo del lavoro ma il fatturato delle aziende non cresce, queste avranno forse più margini ma non maggiore vendita. E la disoccupazione continuerà ad aumentare, senza peraltro contare gli scoraggiati: per forza, mancano le politiche economiche.

Del resto, il Pil diminuisce di due punti, le imprese abbandonano l’Italia, l’unico spiraglio di modesta crescita è che l’euro è un po’ meno caro rispetto a un anno fa, il che favorisce le esportazioni.”
Per Leon è assurdo anche i vincolo di Bilancio imposto prima con il trattato di Maastricht e ora rafforzato in modo drastico dal “fiscal compact”. Qualcosa che il professore definisce addirittura “medievale”.
“La cultura dominante conservatrice ha dimenticato ragioni e finalità dello stato sociale. L’importante è il rigore di bilancio, con il pareggio messo addirittura come vincolo legislativo, qualcosa che suona come una composizione di interessi egoistici e mentalità medioevale, e che nulla ha a che fare con le ragioni dell’economia [...]
Il problema si deve risolvere in Europa, non tanto in Italia [...] La Bce di Draghi, per esempio, invece di sostenere che il modello sociale europeo è in via di estinzione, dovrebbe finanziare con emissione di moneta i disavanzi pubblici, consentendo agli Stati di fuggire dalla strettoia di debito e deficit. Una funzione da creare, certo, ma che sarebbe molto utile.”

Leggi l’intervista a Paolo Leon

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