di Federica Pitoni *
Qualche giorno fa il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth ha pubblicato un articolo dal titolo “Goodbye, occupation myth” (“Addio alla leggenda dell’occupazione”) sostenendo la tesi, affatto nuova per il sionismo, che la Palestina non esiste. Nel catenaccio del pezzo si specifica: “Anche in termini puramente giuridici, Israele non occupa nemmeno un centimetro di Giudea e Samaria”. Attenzione alla terminologia: Giudea e Samaria, ovvero i nomi storici ebraici che indicano il perimetro dei Territori Occupati, quella porzione di terra che venne appunto occupata dagli israeliani dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967. Ebbene, riassumendo velocemente – l’articolo originale potete leggerlo in questo
link: http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4255005,00.html – l’articolista ci racconta che una commissione di giudici ha stabilito che Israele non è una potenza occupante, in quanto già nella Conferenza Internazionale di Sanremo del 1920 quella terra fu promessa a Israele e non vi era uno Stato Palestinese e la Giordania arrivò ad annettersi con la violenza questi territori solo nel 1950, conseguentemente Israele ha il diritto storico di avere quelle terre, che quindi non sono occupate. Si dice anche nell’articolo che questa cosa creerà molti problemi ai fautori della teoria dei “due popoli, due Stati”, perché di fatto due Stati non esistono e bisogna prenderne atto, tenendo conto dei diritti storici degli ebrei e del fatto che non vi è nessuna ragione morale che possa impedire loro di riempire il vuoto giuridico di questi territori.
Il sionismo – perché di sionismo qui stiamo parlando e per favore che nessuno ora provi il gioco della confusione tra antisemitismo e antisionismo. Semiti sono i popoli della regione mediorientale (arabi ed ebrei), e antisemitismo è sì, davvero, sinonimo di razzismo e con forza lo rigettiamo; altra cosa è il sionismo: movimento ideologico nato nell’Ottocento, di stampo prettamente nazionalista, basato su concezioni colonialiste, connotato da spunti razzisti e di fondamentalismo religioso: ecco, alle teorie sioniste sulla Grande Israele noi ci opponiamo. Quindi: antisemiti mai! Antisionisti sempre! - il sionismo, dicevamo, non è nuovo al rimescolamento delle carte storiche, le sue stesse teorie sono basate su forzature storiche. Forzature storiche, forza militare e cospicui appoggi internazionali. E allora vediamo di provare a fare un po’ di ordine e ricordare velocemente qualche evento storico come è avvenuto, senza piegarlo a nessun fine, ma semplicemente ricostruendo. La storia è fatta di dati oggettivi. A quelli vogliamo appoggiarci. Null’altro. Siamo di parte. Molto. Ma ora vogliamo solo l’oggettività storica dei fatti. Ci basta. E non ne abbiamo paura.
La Palestina è una regione storica. E storico è il nome. Questa regione per secoli è stata parte integrante dell’Impero Ottomano. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, proprio nella Conferenza Internazionale di Sanremo, nel 1920 appunto, venne ridisegnata la mappa geografica mediorientale dopo la caduta dell’Impero Ottomano, spartita tra le nazioni vincitrici. La Palestina divenne protettorato britannico. Da qui potremmo dire che parte la moderna “questione palestinese”. Tre anni prima, nel 1917, vi era stata la “Dichiarazione di Balfour”, con cui la Gran Bretagna, che sempre giocherà un ruolo chiave nel progetto di perfetto stampo imperialista del sionismo, dà il suo benestare all’immigrazione ebraica nella regione, in quanto «vede con favore lo stabilirsi in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico…». All’epoca la popolazione della Palestina veniva stimata in circa 700mila unità: 574mila musulmani, 74mila cristiani e 56mila ebrei. Iniziano, ovviamente, le rivolte della popolazione araba, culminate con gli scontri del 1° maggio 1921, con morti e feriti. Continua l’immigrazione ebraica, con la compiacenza della Gran Bretagna, che porta a stimare nel 1927 la presenza ebraica in Palestina a 150mila unità. Nel 1929 viene costituita l’Agenzia Ebraica per favorire l’immigrazione e la formazione di colonie ebraiche in Palestina. Nel 1937 una commissione britannica propone la spartizione della Palestina tra ebrei e arabi: piano rifiutato da entrambe le parti. Iniziano nel contempo le azioni terroriste dell’Irgun Zwai Leumi, corpo paramilitare della destra sionista. La Seconda Guerra Mondiale, con il portato dei suoi orrori e l’insanabile ferita dell’Olocausto, cambia ovviamente il quadro. Massiccio diviene il flusso migratorio ebraico in Palestina. Nel 1946 viene quasi completamente distrutto in un attentato ad opera dell’Irgun l’Hotel King David, dove ha sede l’amministrazione civile della Palestina: 91 i morti, soprattutto inglesi e arabi. Nell’aprile del 1947 la Gran Bretagna annuncia la sua volontà di rinunciare al suo mandato sulla Palestina. All’Onu si vota la risoluzione 181: divisione della Palestina in uno Stato ebraico sul 56,47 per cento del territorio; creazione di uno Stato palestinese sul 42,88 per cento del restante territorio; Gerusalemme zona internazionale. A questa data la Palestina consta di un milione e 935mila abitanti, di cui un milione e 327mila arabi e 608mila ebrei. Dilagano gli scontri e inizia la cacciata della popolazione araba-palestinese, “favorita” dagli attacchi terroristici dell’Irgun e della Banda Stern. E’ la Nakba, la Catastrofe, che porterà morti, feriti, e soprattutto profughi palestinesi, cacciati dalle loro case e dalle loro terre o messi in condizione di dover fuggire: più di 800mila palestinesi furono cacciati dalla loro terra, con un numero stimato di vittime che arriva a 15mila. Il 14 maggio gli inglesi si ritirano. Alla mezzanotte da Tel Aviv l’annuncio della nascita dello Stato di Israele. Inizia la prima guerra arabo-israeliana. L’Onu, alla fine del ’48, adotta la risoluzione 194 che prevede per i palestinesi il diritto al rientro. Risoluzione ancora inapplicata.
Da qui in avanti è una storia che molti conoscono, costellata da guerre infinite e annessioni territoriali da parte di Israele, di risoluzioni Onu che restano lettera morta. La questione palestinese diventa agli occhi di tutti non più solo una questione umanitaria, ma lotta di un popolo, con la creazione nel ’64 dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
Con questa storia, si può ben comprendere quanto difficile sia la via della pace in Palestina. Potremmo anche arrivare a dire che oggi è ancor più difficile. Proprio per questo, però, articoli come quello di Yedioth Ahronoth pensiamo siano profondamente sbagliati e pericolosi. Israele sta continuando la sua politica di insediamenti coloniali, di oppressione e di apartheid, invece di favore un processo di pace verso il dialogo. Si continua a mettere il mondo di fronte a fatti compiuti, oggi come in passato. Ci chiediamo quanto tutto questo possa giovare a Israele stesso. Si vuole portare il popolo palestinese di nuovo sulla via dello scontro militare, sapendo che su quel terreno la vittoria è certa. E si scavano solchi profondi invece sulla strada del dialogo. Non arginando i propri estremismi, si favoriscono tutti gli estremismi. Il popolo palestinese ha pagato e continua a pagare un tributo di sangue altissimo. La pazienza del popolo palestinese si sta esaurendo. Più di sessantaquattro anni di negazione dei propri diritti, fino alla negazione persino del nome Palestina, possono bastare. Davvero si pensa che continuare su questa strada possa portare la pace?
(Federica Pitoni fa parte della Mezzaluna Rossa Palestinese Italia)