di Manlio Dinucci
«Con enorme tristezza piango con voi la perdita di tanti colleghi»: lo ha dichiarato il 23 agosto, durante il lutto nazionale in Sudafrica, il presidente della Lonmin Plc. I «colleghi» sono i 34 minatori neri in sciopero uccisi dalla polizia a Marikana, dove la Lonmin, società con sede legale a Londra, possiede una grande miniera di platino. I minatori scioperavano non solo per salari più alti, ma contro un insostenibile sistema di sfruttamento. La Lonmin, che giura di agire con «onestà, trasparenza e rispetto», si procura gran parte della manodopera attraverso subcontrattisti in comunità distanti dalla miniera, ricattando i lavoratori e mettendoli gli uni contro gli altri.
E anche se il suo codice ufficiale è «danno zero per le persone e l'ambiente», il ricorso al lavoro precario è causa di frequenti incidenti mortali, cui si aggiungono i gravi danni sanitari e ambientali provocati dagli scarichi della miniera. Essa sottrae anche l'acqua agli abitanti, che possono averla solo la notte e per di più inquinata. Quando 3mila minatori sono ricorsi a uno sciopero selvaggio per bloccare la miniera, la Lonmin li ha bollati il 16 agosto come «scioperanti illegali», dando loro, in base a una «ordinanza del tribunale», «l'ultimatum finale»: o subito al lavoro o licenziati. Per 34 di loro l'ultimatum è stato veramente finale: li ha uccisi la polizia, che ha provocato anche 78 feriti, colpendone molti alle spalle mentre fuggivano. Quattro giorni dopo, la Lonmin annunciava che «a Marikana la situazione resta calma» e che un terzo dei 28mila minatori aveva ripreso il lavoro. Il presidente del Sudafrica Jacob Zuma (Congresso nazionale africano) ha nominato una commissione d'inchiesta per appurare le responsabilità dell'eccidio. Evidentemente qualcuno lo voleva: altrimenti non si sarebbero mandati, contro dimostranti armati di bastoni, poliziotti armati di fucili automatici da assalto. Ci vuol poco a capire chi sia stato il mandante occulto: i minatori sono stati uccisi da pallottole di platino. L'industria sudafricana del platino - che copre l'80% della produzione mondiale di questo metallo strategico (serve tra l'altro a fabbricare le marmitte catalitiche) - è dominata da tre gruppi multinazionali: Lonmin, Impala Platinum Holding e Anglo American Platinum. L'apartheid politica è stata sradicata dalla lunga e dura lotta guidata dall'Anc, ma restano le sue radici economiche. Per questo la Lega della gioventù Anc, scavalcando i vertici del partito, chiede la nazionalizzazione delle miniere. La vicenda va ben al di là del Sudafrica. Essa è emblematica di una apartheid globale, attraverso cui potenti élite economiche e finanziarie si accaparrano la ricchezza prodotta con il lavoro e le risorse di tutto il mondo, escludendo la stragrande maggioranza dai suoi benefici. Quando ci si ribella al loro potere, da sotto il manto della legalità spuntano le armi. Non c'è quindi da stupirsi se, in base alla legge H.R. 3422 del Congresso Usa, il materiale bellico ritirato dall'Iraq e l'Afghanistan viene usato per dare la caccia ai lavoratori messicani che, sfruttati nelle maquiladoras, cercano di entrare negli Usa per avere salari più alti. Per confinarli dietro il muro della nuova apartheid si usano i droni, appena testati nelle guerre combattute per gli stessi interessi delle multinazionali.
da il manifesto