mali esercitodi Gina Musso
La Francia manda rinforzi. E allo stesso tempo aumenta la pressione sulle nazioni africane che sul terreno dovranno sostituire la Legione straniera. Conti alla mano. Ieri il ministro della Difesa transalpino Jean-Yves Le Drian ha stimato in 30 milioni di euro il costo dei primi 12 giorni di guerra ai jihadisti nel nord del Mali. Ma ha dato anche per imminente lo schieramento della forza militare della Cédéao (Ecowas), la Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale, che consentirà alle truppe d'élite francesi di lasciare il fronte. «La Francia proseguirà il suo impegno - ha ribadito ieri davanti all'Assemblea nazionale il premier Jean-Marc Ayrault - ma non ha alcuna aspirazione a restare nel Nord Mali».

Per questo ora Parigi, ha detto Ayrault, si aspetta che il contingente ovest-africano «prenda il testimone».
Un primo attacco all'intervento militare è arrivato ieri dal leader del Front de Gauche, Jean Luc Mélenchon: «Siamo lì perché non possiamo permetterci che altri Paesi della regione - e quindi l'estrazione dell'uranio da cui dipendono le centrali nucleari francesi - vengano messi in pericolo - ha detto -. Non ho più l'età per credere ai trucchi mediatici del governo: farebbe meglio a dire la verità piuttosto che raccontarci favole da far dormire in piedi».
L'operazione Serval al momento schiera in Mali 2.300 soldati francesi. Altre truppe scelte, un'unità d'assalto anfibia e 120 blindati sono in viaggio a bordo della Dixmude, la nave partita lunedì dalla base di Tolone con destinazione Golfo di Guinea. Mentre continuano i raid aerei - una decina al giorno - a terra si cerca di consolidare il dispositivo che dovrebbe impedire eventuali controffensive islamiste verso sud, sul genere di quella che nelle prime ore del conflitto avevano portato alla "caduta" di Diabaly.
Tra la capitale maliana Bamako e quella nigerina Niamey, va lentamente prendendo forma la Mission internationale de soutien au Mali (Misma). Per ora si tratta di 1600 soldati provenienti da Nigeria, Niger, Togo, Benin. La risoluzione 2085 dell'Onu fissa a 3.300 unità le dimensioni del contingente, ma secondo l'ambasciatore della Costa d'Avorio alle Nazioni unite, Youssoufou Bamba, il numero potrebbe raddoppiare. Visto che gli islamisti sono meglio armati e organizzati di quanto si pensava, Bamba auspica una missione che coinvolga altri paesi esterni a Ecowas (il Ciad ha già inviato 500 uomini a Niamey), pesi massimi come Ruanda e Sudafrica. La Costa d'Avorio al momento ha la presidenza di turno di Ecowas e l'attuale presidente, Alassane Ouattara, si è insediato solo dopo l'intervento francese del 2011 a Abidjan, che ha costretto all'uscita di scena Laurent Gbagbo.
Sempre ieri, da Berlino, al termine di un incontro con Angela Merkel, il presidente del Benin e dell'Unione africana Thomas Boni Yayi, è tornato a invocare un coinvolgimento diretto di tutti i paesi della Nato. Ma questo per Parigi sarebbe davvero troppa grazia.

Il Manifesto - 24.01.13

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