di Tonino Bucci

Dovrebbe svolgersi in un clima più tranquillo la quarta e ultima giornata della protesta organizzata dal movimento blockupy a Francoforte, sede della Bce e principale distretto finanziario della Germania. Come da programma i manifestanti si incontreranno alle 12 a Basler Platz, nelle vicinanze della stazione centrale, da lì poi si snoderà il corteo per le vie della

città. Nei giorni scorsi la giunta a guida democristiana e verde ha di fatto interdetto il centro di Francoforte alle manifestazioni. Chi è sceso in strada ha dovuto sfidare il Platzverweise e l'Aufenthaltverbot, i divieti di manifestazione e di soggiorno. Tra i dimostranti, finora, ci sono stati circa quattrocento arresti. Soltanto oggi, giorno di chiusura per le banche, il blocco è stato revocato. Sulla carta tutto dovrebbe filare liscio anche se su twitter già da stamattina rimbalzavano voci di controlli della polizia sui treni diretti a Francoforte e nelle strade d'ingresso in città.

Il copione delle proteste a Francoforte ricalca un modello già sperimentato negli Usa dal movimento Occupy Wall Street, diventato a suo modo un copyright – o, meglio, un copyleft – delle mobilitazioni che, a partire da settembre dello scorso anno, si sono svolte nelle grandi città contro poteri e istituzioni ritenute responsabili della crisi economica. Un movimento che finora ha dimostrato di possedere dei requisiti che lo distinguono da altre forme di mobilitazione del passato e che si prestano a essere riprodotti negli scenari delle metropoli occidentali. Il dato più evidente che salta agli occhi – non a caso, quello più evidenziato nella narrazione dei media – è l'utilizzo della Rete e dei social network. Basta verificare, nella fattispecie, la poderosa produzione di messaggi su twitter di Blockupy e di informazioni sul sito ufficiale www.occupyfrankfurt.de, praticamente in tempo reale rispetto allo svolgersi degli eventi. Ma fin qui si tratta di constatazioni ovvie e, tutto sommato, banali. Il punto dirimente è che per questi movimenti la comunicazione sul web è a suo modo “performativa”. L'uso della rete non è semplicemente un modo veloce per far viaggiare le informazioni indispensabili per organizzare sit-in e cortei, ma produce un risultato politico immediato. Il tam tam su twitter e facebook è in molti casi un lavoro di costruzione politica, in virtù del quale soggetti tra loro diversi – comitati, associazioni, collettivi – confluiscono in forme di mobilitazione più ampie. Per dirla in altro modo, la comunicazione è politica.

Ma soprattutto quel che sembra distinguere i nuovi movimenti è il grado di consapevolezza della critica economica al sistema. Da Occupy Wall Street in poi le mobilitazioni hanno scelto come oggetto della contestazione la crisi e la disuguaglianza prodotta dai governi e dalle istituzioni del capitale finanziario. In discussione è il meccanismo del denaro che crea denaro attraverso i sofisticati strumenti della finanza. Nella sola Germania – si legge sul sito ufficiale di occupyfrankurt – la quantità di denaro dal 2000 a oggi è aumentata di circa l'80 per cento, mentre il Pil sarebbe cresciuto solo del quindici per cento. «Più del novanta per cento di questa massa di denaro è stata creata dalle banche dal nulla» e oggi, per salvare quelle stesse banche, milioni di persone in Europa, in particolare giovani, sono costrette «a diventare disoccupati o a rimanere senza lavoro». A ben vedere però se, per un verso, i nuovi movimenti si “specializzano" nella contestazione dei simboli del potere economico – le banche, in questo caso – l'efficacia della loro critica dipende, per un altro verso, dalla capacità di individuare i luoghi del potere in cui si prendono le decisioni che condizionano i destini individuali. Vista da qui, la critica al sistema economico coincide con la critica alla politica e, ad essere più precisi, ai limiti della democrazia rappresentativa che non riesce più a garantire una deliberazione dal basso. La Bce contro cui protestano gli attivisti di occupy frankfurt non è solo un'istituzione del capitale finanziario, ma un luogo di potere dove avvengono i processi decisionali, l'espressione tangibile di quella governance che ha l'Europa e i governi dei paesi membri dell'Ue nelle proprie mani. La democrazia rappresentativa è davvero democratica? Ci si potrebbe chiedere, insomma, se l'azione pubblica dei nuovi movimenti abbia come oggetto specifico il meccanismo economico del sistema oppure la questione democratica. «Che si tratti di membri delle comunità zapatiste del Chiapas, di piqueteros argentini disoccupati, di squatters olandesi o di attivisti che si oppongono agli sfratti nelle township sudafricane, sono tutti sostanzialmente d'accordo sull'importanza di costruire strutture decisionali orizzontali piuttosto che verticali», scrive l'antropologo David Graeber, autore della Critica della democrazia occidentale (appena uscito per elèuthera, pp. 120, euro 10) ed esponente di Occupy Wall Street. La critica investe non soltanto i poteri economici e le istituzioni finanziarie, ma anche le forme organizzate della politica. Dalle più piccole mobilitazioni alle più grandi, dai comitati contro gli inceneritori ai No Tav, dagli indignados a occupy, dalle assemblee dei movimenti rurali ai comitati di quartiere nelle città, le pratiche di democrazia diretta non sono un accessorio. Graeber le chiama «spazi di improvvisazione democratica» al di fuori del controllo sociale, «interstizi» sociali nei quali «persone diverse sono costrette a inventarsi un qualche modo per rapportarsi agli altri». «Come può dirvi qualsiasi attivista contemporaneo che abbia partecipato a un corso di facilitazione per gruppi basati sull'azione diretta, un processo consensuale non ha niente a che vedere con un dibattito parlamentare e la ricerca del consenso non assomiglia in nulla al voto. Abbiamo piuttosto a che fare con un processo di compromesso e sintesi volto a produrre decisioni che nessuno troverà così radicalmente inaccettabili da doverle rifiutare». Il punto è questo: «bisogna garantire che nessuno se ne vada con la convinzione che le sue prospettive siano state totalmente ignorate».

Occupy Wall Street o blockupy di Francoforte non sono soltanto movimenti di critica all'economia, ma anche un sintomo della crisi della politica organizzata. La loro critica riguarda anche il meccanismo della delega e la legittimazione delle istituzioni che esercitano il potere in nome dei cittadini. Dietro lo slogan “Loro 1% noi 99%” è in gioco non soltanto lo squilibrio nella distribuzione della ricchezza ma anche la contrapposizione fra elite e corpo sociale, fra governanti e governati. Una questione che i partiti dovranno affrontare. 

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