di Paolo Giordano
Il pullman che ci porta a Sabra e Shatila è di quelli turistici: bianco, nuovo, lucidato in ogni parte — così ingombrante che al primo tentativo di svolta nelle stradine anguste del campo rimane incastrato in diagonale, bloccando il traffico nelle due direzioni. Una pessima figura. Noi passeggeri — una ventina, di nazionalità diverse e per la maggior parte di carnagione chiarissima — scendiamo in fila, imbarazzati, e abbandoniamo l’autista al suo destino, mentre una folla di abitanti innervositi gli cresce intorno. Il nostro ingresso nell’area palestinese di Beirut non è stato dei più appropriati, né dei più sobri. Certo, non l’atteggiamento che si dovrebbe adottare varcando la soglia di uno dei luoghi di più grave sofferenza al mondo.