di Sergio Cesaratto
L’Europa non ha un’idea chiara di dove andare, o forse sì. Che a un certo punto la situazione possa precipitare per l’insostenibilità finanziaria o sociale ha portato il flemmatico Hollande e la Merkel a creare una commissione che dovrà stilare proposte entro ottobre. Ma come questa possa conciliare un’Europa più unita nel rigore tedesco con l’apprezzabile difesa del popolo francese della propria indipendenza non si sa. Più concretamente le dichiarazioni di Draghi che avrebbe fatto di tutto per difendere l’euro hanno evitato la paventata crisi agostana. Ma ora i mercati vogliono vedere i fatti. I giornali ci raccontano dello scontro fra una Merkel convertita a un moderato intervento della BCE e una Bundesbank custode dell’ortodossia.
Addirittura il falco Weidman, capo della Bundesbank, e la “colomba” Asmussen, membro tedesco nel Board della BCE, si bisticciano pubblicamente. Lo schema Draghi-Merkel potrebbe essere questo: (a) i paesi che lo ritengano, dovranno chiedere ufficialmente soccorso all’Unione Europea che lo subordinerà a stringenti condizioni di austerità; a quel punto (b) i fondi salva-Stati (EFSF-ESM) potranno intervenire calmierando le aste nel mercato primario, quello dei titoli di nuova emissione (operativamente lo farà la BCE); infine (c) la BCE interverrà calmierando il mercato secondario, relativo ai titoli già in circolazione. Ci sono un mare di problemi che la BCE e gli esperti discutono: quali tassi (o spread) obiettivo si perseguiranno? E con quali differenze fra paesi?
Il lettore si domanderà: ma allora avevano ragione quanti si sperticavano a dire che i tassi di interesse (dunque gli spread) li fanno le banche centrali e non i mercati! E allora perché l’Italia è da due anni alla mercé di un’austerità senza fine? La risposta convenzionale è che è nella logica dell’unione monetaria che i mercati puniscano gli Stati fiscalmente irresponsabili. Se si interviene, alleviando un po’ tale punizione, lo si fa solo per dare loro più tempo per riportare i propri conti in ordine. Questa risposta è sbagliata per due motivi. Come dimostrato da Zezza, Bagnai e del sottoscritto nell’e-book “Oltre l’austerità” (scaricabile gratuitamente dal sito di Micromega), la crisi non ha a che fare con l’irresponsabilità fiscale, ma con i difetti di costruzione dell’euro. Se ne deduce che colpendo l’obiettivo sbagliato, la strategia Draghi-Merkel è destinato a fallire. L’insufficiente riduzione dei tassi (o degli spread) congeniata per tenere gli Stati in difficoltà sulla graticola e le ulteriori misure di austerità richieste li manterranno su un percorso di recessione aggravando gli squilibri di bilancio e avvicinando il punto di insostenibilità sociale. Purtroppo la strategia Draghi-Merkel è il massimo a cui Monti, e la sinistra che con vari distinguo lo sostiene, appaiono ambire.
Potrebbe la sinistra italiana proporre una alternativa? Forse. Intanto il livello dei tassi di interesse obiettivo della BCE dovrebbe essere tale da rendere compatibile la stabilizzazione del rapporto debiti pubblici/PIL con politiche fiscali espansive. Due conti in croce suggeriscono che con tassi sufficientemente bassi questo è possibile. L’obiettivo di stabilizzazione sarebbe peraltro apprezzato dai mercati perché realistico in tempi di recessione. Basterebbe? Non siamo sicuri che esistano politiche tali da rimediare radicalmente al difetto di origine dell’euro che, come tutte le unioni monetarie, ha obiettivi deflazionistici - leggi ridurre i salari. Al gioco della deflazione salariale la Germania è imbattibile guadagnando quella competitività che crea gli enormi squilibri commerciali infra-europei. Questi sono il vero cancro dell’euro e non i debiti pubblici che non sono un problema con bassi tassi di interesse. Ma la Germania non rinuncia al suo gioco mercantilista. L’alternativa è diventare gli Stati Uniti d’Europa. Benissimo. Però questo implica enormi trasferimenti fra gli Stati. In pratica la Germania ci restituirebbe come sussidi ciò che guadagna nei commerci. Non è una prospettiva accettabile per nessuno. Che fare, allora?
La sinistra dovrebbe in primo luogo partire dalla consapevolezza che non era nella direzione dell’unione monetaria che il paese doveva andare, pur senza rinunciare a una prospettiva europeista, per riprendere 20 o 30 anni fa un sentiero di crescita in un clima di stabilità sociale. Secondo, dovrebbe comprendere che le prospettive che (ad essere ottimisti) l’Europa riuscirà a darsi saranno solo l’ennesimo spostamento in avanti del redde rationem pur al prezzo di insopportabili costi sociali. E terzo che soluzioni alternative non sono semplici. Ci si batta per queste ultime, ma con la domanda di fondo: l’euro è davvero sostenibile?
Left 30 agosto 2012