di Stefano Caselli, Emiliano Liuzzi e Elisabetta Reguitti

“L’Italia è una Repubblica fondata sulla speranza di lavoro”. Un’ipotetica assemblea costituente di giovani, oggi, il primo articolo della Costituzione probabilmente lo scriverebbe così. In cinque anni gli occupati sotto i 35 anni sono diminuiti del 20 %. Significa che sono 1.386.000 i ragazzi sotto i 35 anni che cercano un lavoro. Chi ha in tasca un diploma, una laurea o una specializzazione e non sa più a che porta bussare e chi un lavoro ce l’aveva ma lo ha già perso o prova a difenderlo con le unghie e i denti. Sono i figli che hanno la (quasi) certezza che ciò che avranno sarà meno di quello che hanno avuto i genitori, ma non solo: in questa Italia del 2012 anche essere figli minori diventa un handicap.

Basta aver avuto 19 anni nel 2008 per trovarsi laureati in un modo che nel volgere di una crisi è diventato qualcos’altro. Ed è qui la crisi si fa carne. Loro, gli “under” del 2012, hanno capito che aspettare non serve a nulla. Si mettono in gioco, sanno di poter contare solo su loro stessi. In questo sono già passo avanti rispetto alla politica.
Infermiera… a chiamata. “Settembre? Non mi preoccupa. I problemi, semmai, arriveranno a novembre”. Giulia Minì ha 23 anni ed è infermiera pediatrica professionale. La sua sfortuna è quella di essersi laureata nell’ottobre 2011, pochi giorni dopo l’ultimo concorso pubblico della Regione Piemonte: “Ho cominciato a studiare nel 2008 – racconta – nel mio campo l’assunzione era pressoché sicura. Oggi invece non si fanno più concorsi, gli ospedali utilizzano al limite le risorse esistenti e quando hanno bisogno di personale chiamano le agenzie interinali”. Giulia è dipendente di un’agenzia interinale e oggi lavora all’ospedale di Chieri, vicino a Torino, con un contratto in scadenza a fine ottobre: “È sempre così. Un mese, poi tre mesi e forse altri tre. Se lavori lo sai il giorno prima per quello seguente. Costiamo poco e siamo subito disponibili”. Difficile sognare una carriera, ma Giulia e altri colleghi si sono inventati Sa.iped, uno studio associato per servizi di infermieria pediatrica sul territorio: “Una bella esperienza – racconta – anche perché è una delle prime in Italia. Certo abbiamo un bel po’ di spese, ma se funzionasse…”.
“Fuggo all’estero per vivere”. Elena De Marco ha 25 anni, Reggio Emilia, laurea in lingue alla Cattolica di Milano e un master al “Sole 24 Ore” in economia del turismo. Ha passato l’estate a mandare curriculum e dopo i tanti rifiuti ha scelto di partire per l’estero, dove le offrono un contratto a tempo indeterminato, formazione e sicurezza: “Io vorrei costruire il mio futuro in Italia – dice Elena con un mezzo sorriso – ma mi sono rassegnata. Qui non ti puoi mantenere fuori casa. Le poche offerte che ho avuto sono stage non retribuiti. Mi mantengo da quando ho 19 anni e non posso permettermi di pesare sulla mia famiglia. Per questo devo fare le valigie”. Non è questione di partire all’avventura o fare altre esperienze, Elena crede nel suo lavoro, in quel futuro che si è scelta e vorrebbe poterlo realizzare nel suo Paese. Ma non è possibile: “Ho fatto quindici colloqui all’estero e ora ho quattro offerte. Qui zero. Sì lo ammetto, fuggo per avere un po’ di sicurezza: fuori dall’Italia non si ha mai quella sensazione da ‘oh mio dio adesso cosa faccio’, a 25 anni posso costruirmi un futuro”.
“Impossibile l’asilo nido per mio figlio”. A settembre mi piacerebbe poter iscrivere Carlo all’asilo nido. Ma credo che non sarà possibile”. Angelo Buonomo, 23 anni laureando in scienze politiche, papà di un bimbo di due anni, tenta di sbarcare il lunario con lo stipendio da operatore di call-center, di 350 euro (al mese) lordi. La sua compagna, per fortuna, ha un lavoro da dipendente ma per il momento il matrimonio è un lusso al quale non possono neppure pensare. “Più che settembre mi spaventa ottobre quando riceverò il compenso di agosto – confida Angelo – Più o meno 50 euro, avendo lavorato solo 6 giorni in tutto il mese”. Cinema, pizza, a volte anche il caffè al bar sono extra da bandire. Lo racconta durante la sua pausa di 15 minuti tra una telefonata e l’altra dell’attività di telemarketing che svolge a Napoli. “Tra poco riprendono anche gli esami all’università. Lo studio mi permette di avere almeno un traguardo da raggiungere, che purtroppo non vedo nel lavoro”. E poi c’è sempre il sogno dell’asilo nido per Carlo.
“Insegnare resta un sogno”. Paola Bucciarelli, 30 anni una laurea in Storia contemporanea, disoccupata dell’esercito degli aspiranti insegnanti. Settembre per lei rappresenta una debole speranza perché dopo aver superato il primo passaggio dei test di accesso all’insegnamento, Paola sta studiando per le altre prove. Vive con i genitori a Sezza, in provincia di Latina e preferisce accantonare il pensiero del suo futuro anche come madre. “Hanno trovato un modo naturale per scoraggiare le nascite in Italia”, ironizza mentre racconta del suo curriculum lavorativo: progetti a termine, periodi senza lavoro, assistente sugli scuola bus ed una serie sterminata di collaborazioni. “Fare un lavoro che non ti piace, precario e sottopagato è un mix micidiale”. Da due anni Paola è impegnata nel progetto Cgil “Giovani non più disposti a tutto”. Dice che l’aiuta a pensare che in qualche modo, stando insieme, qualcosa possa cambiare.

 

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