di Patrizia Sentinelli
“Ripareremo: mandaremo Prodi al Quirinale” ha detto Niki Vendola alla festa dell’Unità. Provo a replicare non per gusto della polemica, peraltro in questo periodo abusata da molti in politica, ma per difendere un passaggio particolamente delicato della storia della sinistra italiana e di Rifondazione Comunista che ha influito molto sulle scelte e sul carattere dell’opposizione al “pensiero unico” del centro sinistra che in quegli anni veniva a consolidarsi.
Le parole di Vendola mi sono apparse non solo superficiali e gratuite ma, cosa più grave, ispirate a un bisogno di piacere, di farsi accettare proprio da quel popolo e da quei dirigenti che in quel tornante più ci hanno attaccato duramente e accusato in ogni modo e luogo per aver troncato l’esperienza che consideravano molto progressiva del governo Prodi.
Per entrare nell’entourage del nuovo centro sinistra , sempre più ridotto ad accordo tra Pd e Sel, occorre rispolverare la più vecchia delle argomentazioni: abbiamo sbagliato e ora ripareremo.
Intendiamoci, durante il suo intervento Vendola ha detto anche cose diverse. Ad esempio, come molti hanno già apprezzato, parole chiare sul matrimonio gay; ma la frase che commento, a mio parere , rende un po’ falso il tutto. Ciò che conta è indossare il vestito nuovo pena essere esclusi, anche a costo di prendere le distanze dalla precedente identità abbandonando in buona sostanza le ragioni dell’alternativa, di cui invece c’è un bisogno enorme.
Sono uscita da Rifondazione Comunista insieme a Vendola per dar vita a uno spazio politico più largo, inclusivo di diverse culture che non avevano magari neppure attraversato Rifondazione; ma nessuno di noi, così dicevamo, intendeva spogliarsi della propria, che non consideravamo fardello di cui disfarsi ma una cassetta degli attrezzi per meglio operare, rinnovando pratiche e saperi.
Abbiamo dato vita a Sel per meglio realizzare questo obiettivo. Ne sono uscita dopo un anno perché il campo per costruire una sinistra nuova mi è sembrato precluso. L’ho fatto senza clamori, portando grande rispetto per le scelte che altre e altri dentro a Sel man mano facevano. Ma ho preferito fare altro per continuare a seminare esperienze per il cambiamento, a partire da una cultura critica e mai subalterna.
Riprendo oggi parola pubblica perché ritengo che prendersela con disinvoltura con quel passato, come fa Vendola, non solo ferisce quanti lo hanno agito ma inibisce la stessa possibilità di operare e anche di pensare un cambiamento fuori del centrosinistra di governo.
Quando togliemmo l’appoggio a Prodi non lo facemmo perché pensavamo il Professore inadeguato o per vocazione minoritaria. Vendola lo dovrebbe ben ricordare, infatti, all’interno di Rifondazione Comunista questo passaggio fu a lungo discusso. Lo facemmo con lucidità e convinzione pagando anche il prezzo di una dolorosa scissione non solo perchè Prodi e il suo governo non concesse nulla sul piano di una politica economica e sociale redistributiva, ma proprio perché quel rifiuto a fare politiche socialmente connotate a favore del lavoro e del welfare stringeva tutti nella gabbia delle compatibilità economico finanziarie del neoliberismo che già nel ‘98 piegava alle privatizzazioni e alla deregolazione dei diritti del lavoro. Cioè si andava nella direzione che avrebbe portato alla attuale crisi drammatica.
Che cosa dobbiamo riparare? Un errore di fase? Una strategia? Penso l’opposto. Non c’è niente da riparare, anzi , davanti al rischio che la politica di questo nuovo centro sinistra in costruzione richieda di espungere ogni criticità e autonomia, bisognerebbe coltivare esperienze di conflitto e di autogestione, e non invocare governo, governo, senza la soggettività dei movimenti.
Da parte nostra allora ci fu un tentativo coraggioso, titanico per una forza relativamente piccola come Rifondazione, per difendere una autonomia di pensiero e di pratiche che già dovevano essere spiantate per far procedere l’avanzata del liberismo. Ci volevano sussumere nel grande campo. Ci siamo ribellati e autodeterminati come soggetto politico fuori dal coro. E che coro!! Piovvero non solo critiche ma addirittura insulti, soprattutto da intellettuali di fama e dai giornali di grande opinione. Ma solo quella scelta poco dopo ci permise di entrare alla pari di tanti soggetti sociali nel grande movimento altermondialista. Non saremmo stati capaci di fare Genova , come infatti successe ai tanti dirigenti del responsabile centrosinistra, che ci lasciarono soli alla manifestazione dopo la morte di Carlo Giuliani. Ma per fortuna eravamo comunque in tanti! E ancora dopo a Cancun, a Porto Alegre, a Munbay……
E da quel nuovo rapporto coi movimenti traemmo anche la forza per riprovare questa volta direttamente la strada del governo. E fummo duramente sconfitti dalle stesse condizioni che avevano impedito la svolta con il primo governo Prodi. Chi vuole riprovarci oggi farebbe bene ad interrogarsi sulle esperienze passate e provare a dire cosa oggi rende la sfida più possibile. Per questo non serve liquidare il passato perché è quello che può insegnare qualcosa se finalmente si volesse discutere. Tanto meno è serio usare la sua liquidazione per qualche ulteriore giochino politicista come il lancio di Prodi alla presidenza della Repubblica che non mi pare proprio materia da primarie. Giocare con il passato a volte è anche più triste e discutibile che farlo con il futuro.
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