di Dino Greco
Se si sfronda l'albero delle chiacchiere che infestano il dibattito politico, si scopre che un disegno, nitido, si va affermando. Si è incaricato di portarlo alla luce Francesco Giavazzi attraverso un editoriale del Corrierone, dove si disvela lo scenario seguente. Poche storie – dice senza mezzi termini il guru bocconiano – se si vuole uscire dalle secche della crisi bisogna continuare, dopo Monti, la strada che Monti medesimo ha tracciato: chinarsi al volere dei mercati, “rassicurarli” - dice lui – e per farlo blindare le riforme che hanno illuminato la strategia del governo in carica. Giavazzi ne indica, a titolo esemplificativo, due: il taglio delle pensioni e l'introduzione dell'Imu, ma si capisce bene che l'elenco potrebbe continuare.
Anzi, gli schieramenti che fra breve si contenderanno il governo del paese dovrebbero formalmente impegnarsi in questo senso “prima delle elezioni” e giurare che mai e poi mai cambieranno strada, compiendo volontariamente un solenne atto di sottomissione che i mercati (cioè i banchieri e i lestofanti della speculazione) sapranno apprezzare e benedire. E a sugello e garanzia di questa rinnovata ammucchiata bipartisan dovrebbero ergersi, come sentinelle di confine, gli attori principali di questa tremenda stagione politica: Giorgio Napolitano e Mario Monti, nelle vesti, a quel punto, di emeriti senatori a vita.
Si badi, quello che scrive Giavazzi lo pensano in molti nei due schieramenti di centrodestra e di centrosinistra, che litigano su tutto meno su ciò che conta davvero, avendo entrambi approvato il fiscal compact, avendo entrambi posto il pareggio di bilancio nella Costituzione e impresso il proprio sigillo su tutte le porcherie antisociali prodotte dal governo: dalla eliminazione dell'articolo 18 alla soppressione delle pensioni di anzianità, dallo smantellamento della contrattazione collettiva alla riduzione ai minimi termini del sistema di protezione sociale.
Tutto ciò rende semplicemente surreale il finto bisticcio che si è aperto nel centrosinistra. Dove Nichi Vendola, ormai organicamente interno a quello schieramento si cimenta nell'acrobatico tentativo di dimostrare l'utilità dell'alleanza con un Partito democratico che ha fatto propria la quintessenza del montismo e che prepara – sempre più esplicitamente – l'alleanza di governo con l'Udc di Casini.
I distinguo di Vendola, ora su questo ora su quel tema, il recente, insistito diniego alla collaborazione con l'Udc non sono che pure escogitazioni propagandistiche, messe in campo per arginare un dissenso interno sempre più acuto, ma destinate a naufragare al primo impatto con il partito di Bersani, vero dominus della situazione, il quale lascia dire tranquillo, ben sapendo che si tratta di fuochi fatui.
E' un bene che la parte dei compagni e delle compagne che hanno sinceramente creduto nella bontà di un progetto antagonistico di Sel comincino a sottrarsi a questo patto faustiano e senza possibilità di redenzione che relegherebbe nella marginalità e nella totale ininfluenza politica la loro formazione in cambio di qualche scranno parlamentare per un pugno di capintesta.
Meglio lavorare, qui ed ora, con le elezioni alle porte, ad un progetto di reale alternativa di sinistra, tale da aggregare tutte le forze, le soggettività, i movimenti che si battono contro il totalitarismo liberista che ha esteso la propria egemonia su un amplissimo ventaglio delle forze politiche costituite. Ve ne è la necessità, l'urgenza ed anche la possibilità, perché un'altra strada esiste. E perché si fa strada fra i lavoratori e fra i cittadini la persuasione che i soloni della tecnocrazia finanziaria non posseggono affatto ricette salvifiche, ma giocano in proprio una partita truccata che sta cacciando il paese in un vicolo cieco. Una strada che porta dritta alla catastrofe sociale e democratica.