di Luca Melloni
Sull’Unità di qualche giorno fa Michele Prospero ha azzardato una lettura della storia repubblicana basata sulla comparsa dell’anti-politica ogni qualvolta si era alle porte di un cambiamento epocale. L’anti-politica è stata, a suo parere, la stampella della destra per bloccare l’ascesa al potere della sinistra – dietro le parole anti-establishment si è mirato invece ad una conservazione del sistema politico ormai decadente.
I 3 passaggi storici che Prospero inquadra sono: il 1948 e l’Uomo Qualunque contro Togliatti; il 1977 e i “Movimenti” contro Berlinguer; ed ora Il Fatto, la 7, Libero, Stella e Rizzo, Grillo e Di Pietro contro Bersani ed il PD. Mi pare una lettura assai forzata, tre episodi molto diversi tra loro che poco, forse nulla, hanno in comune.
Ma prendiamo seriamente la tesi di Prospero ed analizziamola. Una comparazione metodologicamente seria richiede soggetti e situazioni comparabili. Prospero sostiene che il populismo conservatore ha sbarrato la strada al progresso del paese. Ma di che tipo di progresso parliamo? Di che genere di proposta politica? E quali forze sociali erano e sono coinvolte?
Nel 48 il PCI, tipico partito di classe, proponeva una netta alternativa e comunque la costruzione di un Paese nuovo dopo la fine del fascismo. Il contesto storico era quello della Guerra Fredda, scelte di campo dirimenti, modelli politici ed economici antitetici. Il PCI si sarebbe accontentato anche di molto meno ed in effetti era disposto a continuare a governare con la DC, finchè non fu cacciato dal Governo non da Giannini ma dal Dipartimento di Stato Americano. Alle elezioni, Giannini si rivelò capace di intercettare una discreta quantità di voti generati dal malcontento. Fu, in questo un alleato della DC? Ammettiamolo pure, anche se la risposta non sembra poi così ovvia. Giannini fu un classico esempio di populismo di destra che sottrasse, forse, voti anche alla sinistra.
Passiamo al ’77. L’analisi berlingueriana del golpe cileno portò alle larghe intese ed al sostegno del PCI al governo Andreotti. Sulle basi del progresso sociale? Assolutamente no, come riconosciuto dallo stesso Berlinguer pochi anni più tardi. Il progresso e le riforme erano avvenuti negli anni 60 e ad inizio anni 70 come conseguenza delle lotte sociali di cui la sinistra d’opposizione fu grande protagonista. Fu la forza dei movimenti sociali e non il compromesso politico a portare a quel progresso. Il compromesso politico fu ben altro – per il PCI doveva stabilizzare un quadro politico tumultuoso ma per la DC era semplicemente un diversivo per mantenere il potere – e la DC ebbe buon gioco a menar il can per l’aia, vanificando qualsiasi tentativi progressista. Che ruolo ebbero, dunque, i “Movimenti” del 77? Furono sicuramente anti-sinistra istituzionale e con una componente populista ma si innestarono su un quadro politico di conservazione e non certo di progresso, come invece, in parte, nel 48. Sottolinearono in maniera chiara un limite storico del PCI, l’incapacità di aprirsi a forze sociali non inquadrate nel partito, e che già aveva portato a problemi nel 68, alla normalizzazione dell’ala ingraiana e alla rottura col Manifesto.
E la situazione attuale? Qui l’analisi di Prospero và completamente fuori strada. Intanto sembra, a leggere l’articolo, che i movimenti anti-casta siano frutto di una sottile (ma neanche tanto) propaganda mediatica e non basati su una situazione reale e concreta – d’altronde Prospero parla di casta “immaginaria”! E qui già il nostro sembra dimenticare che proprio il PCI fu, negli anni, portavoce per eccellenza di quel sentimento morale che invocava una politica etica e onesta, anti-casta diremmo oggi – dai Forchettoni alla famosa intervista di Berlinguer. La richiesta di politica pulita non è dunque affatto sinonimo di populismo, come invece sembra dire, semplificando, l’articolo.
Ma non è certo questo il punto più problematico. Quali sarebbero gli obiettivi di progresso indicati da Bersani e, in sottordine, da Vendola? Il PD, frustrando forse le illusioni di Prospero, non ha nulla di quel vecchio partito che era il PCI. Non certo una visione di progresso sociale, ma al massimo di onesto governo dell’attuale. Quel paese normale di d’alemiana memoria che riporta al pochissimo fatto dal governo Prodi nei suoi vari periodi a Palazzo Chigi. A meno che, per Prospero, questo progresso non passi SOLAMENTE attraverso la sistemazione dei conti pubblici, da sempre l’alfa e l’omega di PDS, DS e PD.
Dove sarebbe, nel 2012, in piena crisi economica, con una ridefinizione fondamentale dei rapporti di lavoro e di cittadinanza, quel programma di vaste riforme cui l’antipolitica vorrebbe in realtà mettere freno? Difficile saperlo visto che nulla, per ora, è stato annunciato. Nel 48 e nel 77, in momenti di grande tensione sociale – basti pensare alla riforma agraria e agli scontri nelle fabbriche – il PCI stava, senza se e senza ma, in un campo sociale, dalla parte dei lavoratori e questo era rappresentava senza dubbio un pericolo per le classi possidenti. Ed oggi? Se dovessimo giudicare dalle leggi votate in Parlamento dal PD (ma anche, ad esempio, dalle posizioni assunte nelle vertenze FIAT), potremmo forse sospettare che i principali agenti della reazione siano proprio i dirigenti democratici – certo costretti dalla responsabilità storica di salvare l’Italia e l’Euro.
Ma al di fuori della polemica, il punto fondamentale è che i soggetti politici di Prospero non reggono una seria analisi storico-politica. In sintesi: 1)E’ assai discutibile la comparazioni dei 3 movimenti d’opionione come forze al servizio della reazione e già 48 e 77 sono due periodi difficilmente comparabili, con l’ultimo che è piuttosto data simbolo della fine di un ciclo di riforme. 2)Come abbiamo visto, non è comparabile il PCI di Togliatti con il PD di Bersani, perchè non sono comparabili le politiche pubbliche che propongono. Ma soprattutto, 3)manca nell’articolo una seria identificazione delle forze reazionarie, che non sono quelle dell’anti-politica, rappresentante come semplici strumenti nelle mani dei vecchi poteri. Nel 48 molto era in gioco, in termini di assetti economici e politici e la stremata borghesia uscita con le mani sporche dal fascismo molto aveva da temere da una vittoria elettorale del PCI ma anche semplicemente da un governo di unità nazionale. Nel 77 molto meno era in discussione ed infatti il rischio non era certo rappresentato dal governo Andreotti ma da una continua avanzata del PCI che continuava ad impaurire una borghesia dal modesto valore culturale e politico. E nel 2012? Perchè la comparazione di Prospero stia in piedi, occorre identificare i soggetti che più hanno da temere da una vittoria della sinistra e cosa questa vittoria comporterebbe. Senza l’identificazione di questo soggetto fondamentale – su cui l’articolo sorvola convenientemente – il discorso di Prospero non ha alcun senso.
resistenzainternazionale.blogspot.it