di Lo. C.
Metti una sera a cena, con la Fiom. In realtà le cene sono una decina e i dibattiti ancora di più, dallo scorso venerdì fino a domenica prossima. I metalmeccanici della Cgil stanno chiamando a rapporto a Torino la politica - diciamo la sinistra in tutte le sue varianti, comprese quelle a cui il termine sinistra va stretto - e la società per capire se è possibile costruire un percorso comune, e con chi, per tirare il paese fuori dalle secche della crisi senza lasciarsi alle spalle il lavoro e i diritti.
Quello in corso a Torino è il primo appuntamento dopo l'assemblea del 9 giugno, quando il sindacato di Landini chiamò a confronto i segretari dei partiti antiberlusconiani, parlamentari ed extra, per sapere se il lavoro c'entri qualcosa con i loro programmi di governo.
Tradotto in pillole di programma: uno schieramento antagonista alla destra e in discontinuità con il «vulnus» tecnico di Monti, abolirà l'art.8 di berlusconiana memoria che cancella i contratti nazionali, nonché le sciagurate modifiche all'art.18 di marca montiana che lo svuotano di significato? E qual è l'idea di sviluppo, e il ruolo dello stato nell'economia che questo ipotetico schieramento «alternativo» ha in mente?
Se sul piano della politica classica saliranno a Torino, a discutere con Landini e Airaudo, i segretari Di Pietro, Vendola, Ferrero e Fassina (l'unica differenza rispetto al primo round di Roma il 9 giugno è l'assenza del segretario Pd Bersani, l'aggiunta invece è la presenza di Pallante dell'Mds, vicino al Movimento 5 stelle), su quello più vicino ai movimenti della società vanno segnalati i No-Tav, una realtà a cui la Fiom non ha mai fatto mancare il suo appoggio. Sarà la vicepresidente dei Verdi al parlamento europeo, Monica Frassoni, a discutere con i metalmeccanici la scelta tra gli investimenti per le grandi opere e un'idea completamente diversa della tutela e dello sviluppo economico e democratico del territorio.
In casa Fiom un sindacato «naturalmente» industrialista si interroga liberamente su cosa, dove e come produrre, cioè sulle compatibilità sociali e ambientali del lavoro, e lo fa insieme a chi alza la bandiera della decrescita. Si parlerà di vecchie povertà, quelle dickensiane, e nuove povertà, prodotte dalla crisi e dalle ricette liberiste per (non) uscirne, insieme a Marco Revelli. Ci si chiederà con economisti di diverso orientamento se ha un senso, e quale e come, finanziare le imprese. Si parlerà di giornali che sentono il fiato caldo della crisi sul collo e una volta ancora la Fiom farà la sua parte, sostenendo il manifesto con una cena di finanziamento, ma troverà uno spazio di ascolto anche un giornale che nasce: Pubblico.
Giorgio Airaudo, segretario nazionale della Cgil con un occhio particolarmente attento a Torino che è stata la sua palestra sindacale, ricorda che oggi si costituirà presso la Corte di Cassazione il comitato promotore dei due referendum sul lavoro (art.8 e art.18). Airaudo plaude all'obiettivo difficile e importante raggiunto: «Grazie alla disponibilità dell'Idv si è messo in moto un fronte molto ampio che consentirà di portare i temi del lavoro dentro la campagna elettorale». Ma non si fa soverchie illusioni: quello schieramento non è automaticamente l'embrione di uno schieramento ampio che abbia al centro i temi del lavoro e dei diritti, che però bisognerebbe costruire. «C'è chi, non solo nel Pd, pensa che il lavoro sia un tema del passato. C'è chi, nel Pd, si dichiara dalla parte di Marchionne senza se e senza ma, come ha fatto Renzi». «Nelle primarie del Pd il lavoro non c'è», è la sua amara constatazione. Però Airaudo, Bersani l'aveva invitato, ma verrà Fassina. Invece il Pd, nella sua festa torinese la Fiom non l'aveva invitata, a costo di non parlare della Fiat. Se poi anche nel partito di Bersani passa l'idea cara al presidente Napolitano che chiunque vinca le elezioni il segno della politica economica dovrà essere in continuità con quella messa in atto da Monti, c'è poco da farsi illusioni.
Perché proprio a Torino questo appuntamento? Perché da qui, con il modello Marchionne, è partito tutto. Perché Torino, aggiunge Airaudo senza far sconti al nuovo sindaco Pd Piero Fassino, è la città più indebitata d'Italia e sceglie di tagliare il welfare e appaltarne le briciole ai privati, cooperative disposte a competere abbattendo i diritti di chi ci lavora. «E' inquietante che a parte la Fiom, e certo con più autorevolezza, l'unico a parlare di declino della città sia il vescovo, che non si fa scrupoli a chiamare in causa la famiglia Agnelli-Elkann».
Non sarà, è la domanda che si ripete noiosamente dal 9 giugno, che la Fiom vuole farsi partito? La risposta è sempre la stessa: la Fiom è un sindacato e vuole fare sindacato. Ciò non vuol dire che sia indifferente a quel che avviene in politica.
il manifesto 11 settembre 2012