di Loris Campetti

Caschi bianchi, gialli, arancione, blu. Bandiere sindacali, bandiere e fazzoletti dei 4 mori avvolti intorno al viso. Li indossano gli operai del «Sulcis in lotta» che cantano «Fortza Paris», operaie con t-shirt che anninciano: «Fiere di essere sarde». E tutti: «Non molleremo mai». Sono 500, sono tornati a Roma con il carico di rabbia di chi non vuole assistenza ma lavoro. Uno striscione a cento metri dall'ambasciata americana ricorda le origini dell'azienda che si vuole disfare di loro e della «loro» fabbrica: «Alcoa = U.S.A. e getta». Con loro ci sono i sindaci di un'isola a cui padroni e politica stanno togliendo il tappo per farla inabissare definitivamente.

Di fronte a loro, invece, ci sono altri caschi, integrali, blu ma di un'altra tonalità indossati dai poliziotti, neri quelli dei carabinieri, verdi quelli della guardia di finanza. Ma la GdF non dovrebbe essere impiegata nella caccia agli evasori fiscali? Le persone che fronteggiano non hanno alcunché da evadere.
Sono caschi diversi, però, quelli in strada a Roma: i caschi del primo gruppo servono per lavorare e proteggersi, i secondi invece per combattere chi difende il suo posto di lavoro perché non ascolta con attenzione quel che dice la ministra Fornero: non è mica di proprietà degli operai, il posto di lavoro. Gli agenti dai caschi di tre colori sono il doppio degli operai, garantiscono la legalità della multinazionale Usa e del governo dei tecnici, forse lo fanno controvoglia, forse non vorrebbero caricare quei disperati. Ma lo fanno, è il loro lavoro e per fortuna è regolare e non a progetto del tipo: ogni manganellata un bonus sullo stipendio.
Gli operai battono con rabbia i caschi sulle serrande, per terra, scandiscono slogan, accendono candelotti fumogeni, lanciano petardi e bombe carta. Non recitano un copione, non fanno spettacolo: sono disperati e imbestialiti. Robusti cordoni di tutori dell'ordine chiudono gli operai in un rettangolo di strada e garantiscono che il traffico possa fluire, libero come i mercati globali, lungo via Veneto, tutelano l'ambasciata americana, indirizzano i turisti verso lidi più sicuri. Mica li dobbiamo spaventare i turisti giapponesi, ce n'è tanto bisogno. Le cariche che sembravano essersi esaurite lungo il percorso del corteo blindato riprendono davanti al Ministero per lo Sviluppo economico, un nome che sembra un ossimoro. Qualche ferito tra i caschi di diverso colore, dentro al ministero-ossimoro si tratta, anzi non si tratta un bel niente: un padrone avrà pur diritto di andare a produrre dove più gli conviene? Dove l'energia costa poco e gli operai ancor meno come in Arabia Saudita? Al massimo, gli sfigati e le sfigate che non sposeranno principesse e principi o i rampolli di Berlusconi potranno accedere agli ammortizzatori sociali; questi operai, poi, sono pure violenti e non hanno rispetto neppure per un dirigente della sinistra Pd come Stefano Fassina.
Non ha capito niente chi spiega che costa di più tenere aperta una fabbrica che non assistere gli (ex) operai, se ne accorgeranno presto di che pasta sono fatti questi sardi orgogliosi, pronti a farsi saltare in miniera, a tagliarsi le vene, a occupare l'isola dell'Asinara per mesi e mesi e infine, proprio ieri, pronti ad arrampicarsi a 100 metri d'altezza per gridare che non una delle promesse fatte all'isola dei cassintegrati è stata mantenuta. Ora sono senza salario e senza cassa integrazione, cioè sono disperati. Dopo la chimica e il tessile, anche le miniere e l'alluminio stanno per chiudere i battenti in Sardegna.
E c'è chi se la prende con le cattive maniere degli operai sardi. Per fortuna, però, lo spread è sotto controllo.

 

il manifesto 11 settembre 2012

 

 

 

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