di L. L.
L'immagine che offre è quella di una sorta di domino industriale in cui, caduta la prima pedina, tutte le altre seguono a ruota. Se domani il tribunale del Riesame dovesse confermare il sequestro degli impianti di Taranto allora dovranno chiudere anche gli altri stabilimenti dell'Ilva, quelli di Genova, Novi e Racconigi. Non è una minaccia quella che il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante agita davanti alla commissione Ecomafie. Anche se un po' lo sembra, al punto che il presidente della commissione, Gaetano Pecorella, alla fine definIrà le parole di Ferrante come «un ultimatum inaccettabile».
Eppure l'ex prefetto di Milano ribadisce il concetto: «Possiamo solo chiudere, non abbiamo altra scelta» ripete perché, spiega, gli stabilimenti liguri «vivono su quanto Taranto produce».
Era una audizione attesa quella tenuta ieri da Ferrante davanti alla commissione bicamerale. E il presidente dell'Ilva la usa per mandare quello che sembra essere un messaggio alla politica, ma anche ai giudici del Riesame che dovranno pronunciarsi sull'istanza di sequestro delle aree calde e sugli arresti di otto dirigenti disposti dal gip Patrizia Todisco. «Quella della procura di Taranto è un'iniziativa meritoria, perché ha richiamato sull'Ilva l'attenzione delle autorità e ha svegliato le coscienze», spiega Ferrante che però giudica «un gesto pesante» la scelta di arresto nei confronti dei manager. Ma è sul futuro dell'azienda che insiste, un futuro che oggi a suo parere appare messo fortemente a rischio a causa di una decisione presa dai giudici «senza che l'Ilva approntasse una difesa». «Ora questa documentazione c'è, sono sicuro che il tribunale ne terrà conto».
Chiunque abbia seguito le vicende dell'Ilva sa che quello prospettato da Ferrante è uno scenario più che realistico. L'eventuale chiusura dello stabilimento tarantino interromperebbe tutta la filiera della produzione di acciaio. E' da quegli altoforni che escono gli enormi rotoli di acciaio che vengono spediti negli stabilimenti liguri per essere stagnati o zincati a seconda delle necessità. E' chiaro quindi che se lì c'è un blocco, si ferma tutto ovunque. E infatti a Genova le parole di Ferrante non sono affatto suonate come nuove. «E' chiaro che siamo preoccupati», spiega Francesco Grondana, segretario generale Fiom di Genova. «Quelle dette da Ferrante sono cose ovvie pe chi lavora all'Ilva. Adesso bisogna vedere cosa succede mercoledì con la decisione del Riesame, e poi cosa decide l'azienda».
Nei giorni scorsi nei tre stabilimenti liguri gli operai hanno fatto otto ore di sciopero con cortei a cui ha partecipato anche il sindaco della città, Marco Doria. Come a Taranto, anche qui la preoccupazione è forte per i quasi 3.000 posti di lavoro (1.760 a Genova, 700 a Novi e 150 a Racconigi) a rischio in caso di chiusura dello stabilimento pugliese. «Sarebbe stupido affermare che non esiste un problema ambientale - prosegue Grondana - ma non si può pensare di risolverlo con un blitz chiudendo la fabbrica. Possiamo solo sperare che il Riesame prenda una decisione che consenta di risolvere il problema nel tempo».
Parlando alla commissione Ecomafie Ferrante ha insistito sulla volontà della famiglia Riva di non lasciare Taranto, ma ha anche chiesto di poter accedere a finanziamenti pubblici da investire in nuove tecnologie a difesa dell'ambiente, oltre ai 336 milioni di euro già stanziati dal governo. «Ci potrebbero essere - ha detto Ferrante - nuovi finanziamenti per le tecnologie che l'impresa volesse applicare sugli impianti».
da il manifesto