Intervista a Samantha Di Persio

Sono trascorsi alcuni anni dalla Pubblicazione di Morti Bianche di Samanta Di Persio. Cosa è cambiato in questi anni?

Ho iniziato a scrivere Morti bianche nel 2007 perché mi sono chiesta cosa accadesse ad una famiglia dopo aver perso un familiare o dopo un incidente invalidante. Iniziai a raccogliere testimonianze prima dell’infortunio della Thyssen Krupp. Forse questa tragedia segna un confine: dopo la morte dei sette operai i mass media per occuparsi di infortuni sul lavoro attendono che ci siano delle vere e proprie stragi.

Basta ricordare le donne di Barletta, in questo caso ci fu anche l’indignazione perché lavoravano a nero e per 4 euro l’ora. Ebbene sì, in questo Paese è la norma soprattutto in tempi di crisi. Capii in fretta che dietro un infortunio c’è il peggio dell’Italia. Assunzioni fatte il giorno dell’incidente, ma il lavoratore era impiegato da mesi in azienda. Sistemi di sicurezza tolti per velocizzare la produzione e poi quando ci scappa il morto nessuno viene punito, anzi a volte viene condannato il capro espiatorio. Altre volte i reati si prescrivono perché gli avvocati spesso sono attratti dai soldi come nel caso di Franca Mulas che ha perso a distanza di quindici mesi prima il figlio e poi il marito, lavoravano entrambi per la stessa azienda e non è stato condannato nessuno per via della prescrizione. Altre volte i sindacati non svolgono il loro compito, non tutelano i lavoratori, non li informano dei loro diritti. Si è innescato un processo individualista e questo ha portato alla disgregazione sociale e di fatto non importa a nessuno se ogni anno muoiono oltre mille persone sul lavoro, di conseguenza è difficile farsi pubblicare un libro che tratti un argomento così scomodo. In realtà in quattro anni è cambiato poco, questa è una materia che non interessa a chi governa, del resto le campagne elettorali vengono finanziate dalle grandi imprese, il legislatore come potrebbe pensare una legge che vada a ledere il suo sponsor? In più abbiamo avuto al governo un imprenditore che non ha mai chiarito come sia diventato un grande, però abbiamo perfettamente capito che lui, il suo staff e l’opposizione silente, hanno divorato questo Paese

 

In Morti Bianche raccogli varie testimonianze di morti sul lavoro. Ci fai alcuni esempi?

Il libro è un vero e proprio diario dal mondo del lavoro, lascio parlare i protagonisti. Raccontano dell’Ilva che uccide perché nell’esecuzione dei lavori oggi c’è una grande fretta e lavorano insieme varie ditte in subappalto, ognuna di loro ha un compito, ma non comunicano fra di loro questo genere una situazione dove è facile che avvengano degli infortuni. Raccontano delle Ferrovie, treni pericolosi per chi ci lavora ma anche per i passeggeri: ad esempio le porte -killer che si chiudono ed hanno procurato molte invalidità. Raccontano di imprenditori che hanno messo ragazzi a lavorare senza un minimo di formazione: Matteo Valenti è morto bruciato in un laboratorio di cere. Anthony Forsythe è morto perchè aveva un contratto in scadenza e non poteva dire di no. Andrea Gagliardoni è morto perché erano stati tolti dal macchinario dei sistemi di sicurezza. Luca Cardinale è morto a 15 anni e la madre non si è mai rassegnata all’ingiustizia. Il proprietario della Umbria Oli, Giorgio Del Papa ha chiesto il risarcimento di 35 milioni di euro (la mancata produzione) ai familiari delle 4 vittime

 

1200 morti l’anno per incidenti sul lavoro, i sindacati sono in perenne ritardo sulle tematiche inerenti la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.

I sindacati non sono in ritardo, semplicemente la loro presenza si avverte poco. Oggi i lavoratori si sentono soli, spesso sono stati traditi dagli stessi operai sindacalizzati. Ruggero Toffolutti, Mirko Fiorona avevano paura di alcuni macchinari, si sono rivolti ai loro colleghi e quando c’è stato l’infortunio mortale questi hanno taciuto. Il vero problema è l’omertà. Il vero problema è il ricatto a cui tutti i lavoratori sono sottoposti perché chi chiede il rispetto dei propri diritti oggi viene licenziato senza giri di parole ed il sindacato fa poco, anzi spesso sono loro a far desistere i lavoratori da una vertenza. Se ognuno adempiesse al proprio compito le cose potrebbero andare diversamente.

 

Che cosa fare in cooncreto a tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro?

Oggi l’indignazione è poca ed a volte ci si accontenta di un discorso del Presidente della Repubblica chiaramente non risolutivo. Si sta arrivando a toccare il fondo. Ormai i piccoli imprenditori, gli artigiani si stanno suicidando perché lo stato non lascia alternative alla chiusura. I grandi se ne sono andati da un pezzo perché nessuno ha fatto opposizione, anzi poi gli fanno vendere i prodotti ai disoccupati italiani. I lavoratori rimangono senza lavoro e in questo modo si incentiva il sommerso. I sindacati hanno grandi responsabilità, le contrattazioni le hanno portate a casa loro, perché non hanno mai chiesto il conto alle grandi imprese su come utilizzassero i finanziamenti pubblici? Ad esempio la Fiat è un’impresa che nel corso del tempo ha sempre minacciato chiusura per mancanza di competitività, perché gli operai costano troppo, questa ha sempre ricevuto finanziamenti. I vari manager prendono 5/6/7 milioni l’anno di stipendio, com’è possibile se l’azienda urla crisi da decenni? Perché lo stato non ha mai verificato come venisse speso il proprio denaro?Parlando con lavoratori e con imprenditori molti mi dicono che l’unica via d’uscita non è pacifica, questo dovrebbe far riflettere la nostra classe dirigente(politica, sindacale) che dovrebbe rendersi conto che è ora di cambiare mestiere.

 

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