di Francesco Piccioni :: Intervista a Francesca Re David (Fiom)
Come siete arrivati alla decisione di manifestare il 20 ottobre?
La Cgil ha deciso di proclamare questa come giornata di mobilitazione e riunificazione delle lotte. Troviamo estremamente positivo che si ragioni sulla riunificazione delle vertenze, perché la situazione è drammatica da ogni punto di vista. Oltre alle singole situazioni, c'è un problema di totale assenza di politica industriale in questo paese. Il governo non sta svolgendo alcun ruolo in questo senso.
Ogni volta sembra che cerchino soltanto un compratore, possibilmente straniero...
Come si è visto dall'inizio della vicenda Fiat, si limita a dire che le imprese sono «libere di decidere che cosa fare» sulla base degli elementi di concorrenza, con un'assoluta indifferenza alla responsabilità sociale delle imprese, sia rispetto ai territori che all'aspetto produttivo.
Credo non ci sia mai stato un governo così indifferente rispetto all'introduzione di elementi di politica industriale e di indirizzo. Da questa crisi non si può uscire senza investimenti importanti, da parte delle imprese e del governo.
Voi avete il rapporto con i territori; come vive la gente questa indifferenza?
Molto male. Vediamo sempre più spesso atti eclatanti. L'assenza di una politica porta a un'escalation di gesti per richiamare almeno per un po' l'attenzione sulla propria condizione, individuale o collettiva. Accade in Sardegna, dall'Alcoa ai minatori. Ma ogni giorno c'è qualcuno arrampicato da qualche parte, come la Vinyls a S. Marco. Si cerca di «bucare» l'attenzione con l'evidenza della disperazione.
La scadenza del 20 è dunque un richiamo per il governo alle sue responsabilità?
Assolutamente sì. Del governo e delle imprese, tengo sempre a precisare. L'ho appena detto: non c'è nessuna politica industriale, ma le imprese mostrano indifferenza ad affrontare la concorrenza sulla base dell'innovazione dei prodotti. Tutta l'attenzione è puntata sull'abbattimento del costo del lavoro; una follia che ha portato a una riduzione dei diritti mai vista prima.
E anche di reddito, quindi della domanda.
Anche per questo vanno fatte politiche mirate. Squinzi e gli industriali, per esempio, si lamentano che la tassazione è troppo alta. Per noi la riduzione della tassazione va legata all'investimento in innovazione, oltre che alla stabilizzazione del lavoro attraverso la riduzione degli orari. Il governo qui potrebbe svolgere un ruolo. Gli incentivi sotto forma di detassazione andrebbero vincolati a cosa le imprese fanno.
Nel decreto sulle start up, invece, viene incentivato un contratto «tipico» fatto di precarietà a tempo determinato e persino con la possibilità di pagare in «stock option»...
È l'idea che il «sostegno» all'impresa va dato in forma di precarizzazione del lavoro, in abbassamento di salari e diritti. Pensiamo invece che debba essere collegato ai processi di innovazione, per un diverso modello di sviluppo. La giornata del 20 è importante come primo momento. Abbiamo l'assemblea dei 5.000 componenti dei direttivi Fiom, il 12 ottobre a Modena, perché nell'unificazione delle lotte vanno tenute insieme diverse questioni: il contratto nazionale che non c'è, la democrazia sotto attacco - per i metalmeccanici e in generale - e le crisi aziendali. Bisogna tener vivo un senso collettivo, altrimenti si passa solo ai gesti di disperazione individuale. Quando parliamo di contratto non possiamo non parlare di crisi, di occupazione, quindi di riduzione degli orari e di contratti di solidarietà; e di politiche industriali positive su un diverso modello di sviluppo. La defiscalizzazione andrebbe data su questi elementi, non a pioggia, come con i «contratti tipo» delle aziende start up.
Basta una manifestazione, per questo?
Pensiamo anche a uno sciopero generale della categoria. C'è un mandato del Comitato centrale che l'assemblea dei delegati potrebbe ratificare. Uno sciopero generale che intervenga sulla «trattativa separata» di Federmeccanica con Fim e Uilm, che peggiora ulteriormente le condizioni di lavoratrici e lavoratori, ignorando la democrazia e lasciando fuori il sindacato maggiormente rappresentativo. Oltre al problema «come si affrontano le crisi?»
Siete riusciti a tenere il conto?
Sulle 180.000 persone coinvolte nei tavoli di crisi aperti soltanto a Roma, al ministero, 110.000 sono metalmeccanici.
Quanto vedete delle questioni poste dalla Fiom nel discorso pubblico dei partiti?
Molto poco. Vediamo nella proposta di referendum su articolo 18 dello Statuto e art. 8 della «manovra d'agosto» una reazione alla legislazione che - con Berlusconi prima, con Monti poi - hanno varato sulle questioni del lavoro. Pensiamo che la discussione che si aprirà con la raccolta delle firme sia un modo per riportare i temi del lavoro dentro la discussione politica dei partiti, obbligandoli a una chiara presa di posizione. Allo stato attuale, però, tutto il loro dire rimane molto vincolato alle questioni del pareggio di bilancio...
Sul clima sociale, in relazione al 20, che tipo di previsioni fate?
Sui luoghi di lavoro, se le persone sono lasciate sole, il clima è di depressione. La scadenza deve diventare l'occasione per fare le assemblee, discutere con le persone, far uscire dalla solitudine e dall'immobilismo. Dev'essere una tappa in un percorso di rilancio della mobilitazione sul e per il lavoro; allora ha una possibilità di vero successo. Il 20 saranno soprattutto le aziende in crisi a essere presenti; è positivo che non siano più costrette a manifestare sole, una alla volta, sotto i palazzi del potere.
da il manifesto