di Alfonso Gianni -
Una delle conseguenze inevitabili della crisi economica internazionale e interna, anzi della recessione che ormai da diversi trimestri affligge in particolare il nostro paese – peraltro senza che si intraveda la mitica luce in fondo al tunnel – si sta ora materializzando nella crisi della produzione di energia.
Le centrali elettriche tradizionali si trovano di fronte alla inderogabile necessità di ridurre sensibilmente la produzione a causa della caduta della domanda dovuta alla contrazione dell’attività industriale e in generale del consumo di energia. Così sia i grandi gruppi italiani, che quelli stranieri presenti nel nostro paese, nonché le ex municipalizzate devono ricorrere alla cassa integrazione.
A febbraio la domanda di energia è calata del 5% rispetto al 2012. L’utility lombarda A2a ha comunicato un esubero di 400 lavoratori. Chivasso, Sermide, Turbigo e Cassano applicheranno la cassa integrazione a rotazione per i dipendenti. Gli impianti di Edison verranno messi “in conservazione”. Conseguenze anche per la tedesca E.On, per quanto riguarda la centrale in Sardegna. Intanto si attendono le decisioni di Enel che verranno probabilmente comunicate nelle prossime ore.
Qui la situazione si presenta ancora più pesante sul terreno occupazionale. Infatti Enel deve fare sapere alle organizzazioni sindacali quali siano i suoi orientamenti rispetto alle quantità e alle modalità con cui verranno trattati i presunti esuberi. In questo caso si parla di migliaia di persone e probabilmente dell’utilizzo dei contratti di solidarietà, cioè di quello strumento previsto nel nostro ordinamento che serve a ripartire fra più persone lo scarso lavoro che c’è proprio per evitare i licenziamenti. Questi contratti potrebbero coinvolgere circa 15mila dipendenti.
Tuttavia non è solo il crollo della produzione industriale a determinare la crisi della produzione di energia. Vi è anche un fatto positivo: la crescita della concorrenza delle energia prodotta da fonti rinnovabili. Dopo lo sviluppo del settore, cui hanno dato un contributo non da poco le misure decise dal secondo governo Prodi – una delle non tantissime cose buone fatte da quel governo che quindi conviene ricordare – nelle regioni del Sud è spesso capitato che l’intera produzione immessa nella rete sia in alcuni giorni interamente a carico dell’eolico e del fotovoltaico con l’effetto collaterale desiderato che l’energia in certe ore si trovi a un costo pari allo zero. Questo, non vi è dubbio, minaccia i profitti dei produttori di energia non da fonte rinnovabile.
Come si vede in questo caso la crisi ha due facce. Da un lato è una devastazione, dall’altro un’occasione per la trasformazione. Peccato che il volto che solitamente conosciamo è solo il primo. Ma proprio l’esempio dell’energia impone alcune semplici riflessioni. In primo luogo risulta evidente che la foga privatizzatrice in questo campo limita le possibilità di un governo della transizione energetica, accentuando tutti i caratteri puramente negativi della crisi, a cominciare da quelli occupazionali.
In secondo luogo che l’innovazione in campo energetico è un potente strumento anticrisi e allo stesso tempo la prefigurazione di modelli industriali, stili di vita e di consumo alternativi al quadro attuale che quella crisi ha prodotto. In terzo luogo – non è una scala di valori ma solo di comodo – che avere diminuito il bilancio europeo da parte della Commissione proprio in questo campo è un errore strategico.
Per fortuna anche qui un elemento positivo si è introdotto in queste ore. Il parlamento europeo, che ha potere codecisionale sulla materia, ha bocciato il bilancio proposto da Van Rompuy. Il che dimostra anche un’altra cosa. Gli organi elettivi, come è il Parlamento di Strasburgo, funzionano meglio e con una migliore visione dei bisogni del presente e dei possibili sviluppi del futuro degli organi a-democratici della governance europea designati dalle elites politico-tecnocratiche.
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