di Roberto Ciccarelli -
Notizie dal fronte della «ripresina», da tutti attesa come il Godot dei nostri tempi austeri. Dopo l’Fmi, ieri anche Bankitalia è tornata su un’auspicio infondato che è diventato un luogo letterario. Nel bollettino economico diffuso da Palazzo Koch si registra un lieve rallentamento della recessione, ma molte ombre sulla ripresa. Di segnali di questo tipo proprio non se ne vede l’ombra.
«Nel primo trimestre del 2013 il Pil potrebbe essersi ridotto – scrive Bankitalia – ma a ritmi meno accentuati, anche grazie al miglioramento dell’interscambio commerciale». Dunque, vediamo: il «rallentamento» del crollo del Pil sembra in effetti reale. Nel 2012 è stato un disastro: -2,5%, più che una recessione, un pozzo nero. Nel 2013 le ultime stime dell’Fmi lo danno «solo» a -1,5%, il governo Monti nel Documento di Economia e Finanza (Def) è stato più ottimista: -1,3%. C’è solo un problema: a gennaio, il Pil era dato a -1%, dopo 3 mesi è passato al -1,5%. Di questo passo a giugno arriverà a -2%. E la giostra delle previsioni continuerà a girare, fino a quando la vera realtà non sarà palese. Bankitalia mette infatti le mani avanti: «Le informazioni congiunturali non prefigurano finora modifiche di rilievo alle prospettive di breve termine». A questo punto anche i 40 miliardi che la pubblica amministrazione verserà alle imprese, che Bankitalia giudica positivamente, non basteranno a risollevare il Pil. «Dipende dai tempi dell’interventio e dall’uso dei fondi» precisa la banca centrale. è dunque tutto da vedere se l’erogaziione di questi fondi costituisca una misura per la «crescita» come fin’ora è stata spacciata.
Ci sarebbe da capire il perché di tanta ritrosia ad ammettere che nel 2013 la recessione continuerà come prima, peggio di prima. E che nel 2014 non ci sarà alcuna crescita, visto che già oggi dall’Fmi all’Ocse e persino il Def di Monti la danno a + 0,4. Forse perché l’economia reale è destinata a peggiorare, ad esempio. La Cassa integrazione è aumentata nei primi tre mesi dell’anno del 12%, nonostante il blocco della cassa in deroga. Il numero degli occupati, continua Via Nazionale, si è ridotta dello 0,3% nel 2012 rispetto al 2011 (-69 mila persone), mentre è continuata a crescere solo l’occupazione femminile, cioè il welfare informale delle badanti straniere. Se poi si scorporano i trimestri è possibile notare quanto sia infondata la speranza della ripresa. Secondo Bankitalia, infatti, l’ultimo trimestre del 2012 è stato devastante per l’occupazione. Il calo è stato dello 0,6%, 148 mila persone hanno perso il lavoro a causa della crisi nell’edilizia e nell’industria manifatturiera (rispettivamente crollate del 4,6% e del 2,5%), mentre tengono gli ever-green nel paese del sole e del mare: tengono infatti la ristorazione e gli alberghi. Capitombolano invece i salari reali, diminuiti ancora dell’1%, mentre la produzione industriale resta stabile nel primo trimestre 2013 come lo spread tra Btp e Bund tedeschi.
Questa situazione incide sui consumi delle famiglie che continuano a peggiorare da due anni. Nel 2013 non ci saranno novità. Ma vediamo i dati reali sull’occupazione Centocinquantasettemila contratti a tempo indeterminato sono spariti e 20 mila co.co.pro. sono stati bruciati (-4,8%). Uno dei luoghi peggiori della crisi è l’Emilia Romagna del post-terremoto. Nell’industria hanno perso il lavoro 2400 persone, mentre 1100 sono spariti nel commercio e nella ristorazione. Secondo il bollettino la disoccupazione cresce più velocemente tra i lavoratori con un basso livello di istruzione (dal 13,2 al 15,9%, per quelli che hanno la licenza elementare, dal 6 al 6,6% per i laureati). I giovani tra i 15 e i 24 anni la disoccupazione è salita dal 32,6 al 39% in un anno, il livello più alto dal 1992. L’unica cosa su cui oggi si può scommettere è che questi dati peggioreranno. Chi lo dice ai «mercati»?
Il Manifesto – 18.04.13