L’accordo sulla rappresentanza sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria è stato definito un accordo storico, una svolta epocale. Ne vanno analizzati invece senza infingimenti gli elementi critici e negativi, senza per questo fare l’operazione opposta di rimuovere il contesto in cui si colloca.

Il contesto è quello di una lunga stagione di esclusione dalla contrattazione delle organizzazioni sindacali che, quand’anche maggioritarie, non sono state disponibili a subire i diktat e i pesanti arretramenti imposti dalla controparte.

Una lunga stagione in cui, in sostanza, è stato nelle mani delle imprese scegliere i rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori: con quali sindacati trattare, quali escludere, con quali chiudere gli accordi.

Ne è emblema il caso della Fiom, espulsa dal tavolo delle trattative per l’ultimo contratto dei metalmeccanici, sebbene organizzazione maggioritaria delle lavoratrici e dei lavoratori metalmeccanici.

Questo contesto non si può rimuovere perché da un lato il messaggio mandato alle lavoratrici e ai lavoratori è quello devastante dell’azzeramento di ogni minimo rispetto dei principi democratici, e perché dall’altro è evidente il logoramento a cui un contesto di questo tipo ha esposto quelle stesse organizzazioni.

L’accordo sulla rappresentanza da questo punto di vista sancisce in positivo che la legittimazione alla contrattazione si basa sulla rappresentatività delle organizzazioni sindacali: che non possono essere escluse le organizzazioni che rappresentino almeno il 5% dei lavoratori e che un accordo per essere valido debba essere sottoscritto da organizzazioni complessivamente rappresentative di almeno il 50%+1 dei lavoratori. E sancisce che un accordo debba avere il consenso della maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori, senza sottacere il nodo critico rappresentato dal rimando alle categorie della decisione sulle modalità con cui svolgere la “consultazione certificata”, che lascia spazio ai tentativi di sostituire il voto referendario con forme meno garantite di consultazione.

Se su questo punto c’è un passo avanti, ma non si possono non vedere gli elementi critici e negativi.

Il primo è che per l’appunto si tratta di un accordo tra gli aderenti alle organizzazioni firmatarie e non di una legge. Questo lascia fuori sul versante delle organizzazioni padronali tutte le aziende che non aderiscono a Confindustria e non risolve dunque la vicenda Fiat.

E lascia fuori sul versante delle organizzazioni sindacali, i sindacati di base, riaffermando una sorta di monopolio e privatizzazione della rappresentanza in capo a Cgil, Cisl, Uil.

Si tratta, con tutta evidenza, di un problema democratico di prima grandezza, giacchè la rappresentanza dovrebbe non solo garantire il pluralismo, ma essere prima di tutto il diritto alla democrazia nei luoghi di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori e non il diritto delle organizzazioni sindacali. Ed è un punto altrettanto critico che vengano previste clausole di “raffreddamento” del conflitto e il più generale impegno a non promuovere “iniziative di contrasto” che comunque limitano l’agibilità sindacale, anch’esse demandate alla contrattazione di categoria.

Va infine osservato, come evidenziato giustamente da Nanni Alleva, che le regole per la rappresentanza nella contrattazione aziendale e territoriale restano quelle previste dall’accordo del 28 giugno. Si tratta di regole che escludono nella maggior parte dei casi la possibilità del voto delle lavoratrici e dei lavoratori, limitato ai soli casi di accordi approvato da un Rsa, se vi è richiesta di almeno una delle organizzazioni firmatarie del 28 giugno o del 30% delle lavoratrici e dei lavoratori. E’ un problema tutt’altro che irrilevante nel momento in cui la possibilità derogarotaria del contratto nazionale resta intatta in virtù dell’accordo del 28 giugno e di quella norma mostruosa che è l’articolo 8 dell’ultima finanziaria del governo Berlusconi.

L’accordo sulla rappresentanza dunque se da un lato pone fine alla discriminazione eclatante rappresentata dall’esclusione di sindacati maggioritari, è tutt’altro che risolutivo del problema della rappresentanza sindacale. E domanda la ripresa dell’iniziativa per una legge in cui il diritto alla rappresentanza sia il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori alla democrazia nei luoghi di lavoro: il diritto di votare per qualsiasi organizzazione sindacale nelle elezioni delle proprie rappresentanze, il diritto di votare su piattaforme e contratti a tutti i livelli, senza limitazione alcuna di agibilità del conflitto.

E domanda la ripresa dell’iniziativa per un contratto nazionale senza deroghe, per cancellare l’articolo 8 e ripristinare l’articolo 18, giacchè non è parlar d’altro che di democrazia, mettere le lavoratrici e i lavoratori nella condizione di poter esercitare i propri diritti senza essere nella condizione di ricatto che oggi si vive nei luoghi di lavoro.

 

Roberta Fantozzi, Segreteria nazionale Prc

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