intervista a Gianni Rinaldini di Gabriele Polo
«Strumenti di articolazione contrattuale miranti ad aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi: è una perifrasi oggettivamente barocca per evitare l'espressione deroghe». Così il direttore generale di Confindustria, Giorgio Usai, «traduce» l'accordo del 28 giugno tra Cgil-Cisl-Uil e imprenditori. «Loro parlano chiaro - commenta Gianni Rinaldini - le si può chiamare come si vuole ma sono deroghe al contratto nazionale, come nell'accordo separato del 2009. In un altro passaggio Usai spiega che sarà limitato il diritto di sciopero 'quando vanifica gli equilibri raggiunti tra le parti'». Rinaldini ha appena concluso l'assemblea nazionale della minoranza Cgil: «Faremo campagna contro quest'intesa, chiederemo agli iscritti di votare no, costituiremo appositi comitati sui luoghi di lavoro e sul territorio aperti a tutti, a partire dai precari, perché il problema della democrazia non riguarda solo le organizzazioni sindacali».
Siamo in emergenza economica, il paese rischia il crollo, tutti fanno appello al senso di responsabilità. A partire dal Presidente della Repubblica, l'accordo del 28 giugno è considerato indispensabile. E voi remate contro?
Ormai si giustifica tutto con il «contesto», ma conoscevamo da tempo sia la drammaticità della crisi che l'arrivo di una manovra pesantissima. In realtà il «contesto» significa «ragioni politiche». Trovo irresponsabile che queste prevalgano su diritti e bisogni di lavoratori e pensionati. Trovo irresponsabile che la Cgil faccia un accordo che indebolisce chi vuole rappresentare, mentre cresce il disagio sociale. Con l'aggravarsi delle crisi - economica, politica, sociale - e il rischio di collasso della rappresentanza, ostacolare la partecipazione democratica e affermare la logica dell'emergenza, è una follia.
Ma un maggior peso ai contratti aziendali non decentra i luoghi in cui si decide, non è un democrazia «dei fatti»?
A proposito di democrazia mi pare curiosa un'intesa che non fa parola delle regole per validare il contratto nazionale, mentre entra nel dettaglio di quelle per i contratti aziendali. Dove il voto dei lavoratori è previsto solo in caso di divisioni nelle Rsa, come spiega ancora Confindustria: «E' questa l'unica ipotesi - accordi raggiunti a maggioranza delle Rsa - in cui è necessario ricorrere al voto dei lavoratori», Usai dixit. Altrimenti saranno gli equilibri nelle Rsu a decidere tutto, segnando fin dall'inizio il confronto a prescindere dal merito. Ci saranno situazioni in cui il contratto lo faranno Cisl e Uil, altre in cui lo farà la sola Cgil. E' la balcanizzazione del sindacato, altroché confederalità e unità. Facile prevedere, poi, che gli accordi peggiorativi del contratto nazionale si succederanno a cascata, che le imprese stimoleranno l'emulazione al ribasso.
Però con questo accordo la Cgil torna in gioco e potrà dire la sua. Dopo anni di isolamento non è un bene?
Con quest'accordo la Cgil porta le sue regole democratiche e la sua storia in pegno a Cisl e Uil. Che in questi anni hanno sostenuto tutte le scelte dell'attuale governo, dal condono fiscale al collegato lavoro. Contemporanemente, il «contesto» prepara una manovra che peserà soprattutto su lavoratori, precari, pensionati, senza che nessuno la possa mettere in discussione.
Sembra che critichiate più il metodo che il merito e così vi accusano di posizioni preconcette e strumentali.
Mai come in questa occasione merito e metodo corrispondono.
L'annullamento del potere decisionale dei lavoratori sulle scelte che determinano le loro condizioni di vita e lavoro, corrisponde al percorso che ha portato la Cgil alla firma. C'è stata una trattativa preceduta da una discussione al direttivo Cgil, cui non è stato presentato alcun testo e che non ha votato alcun mandato. Non è stata formata alcuna delegazione «trattante». I segretari generali di categoria hanno visto il testo solo a firma avvenuta. Così è saltato qualunque meccanismo democratico e l'ultimo voto del direttivo è diventato un voto di fiducia sul segretario. A questo si è arrivati, dopo le modifiche allo statuto della Cgil che ne hanno prodotto una mutazione genetica. Non era mai successo che svolte statutarie venissero decise a colpi di maggioranza (è come cambiare la Costituzione con un semplice voto del 50% più uno del Parlamento). Lo statuto è fatto anche per garantire le minoranze, perciò in passato le modifiche venivano decise unitariamente. E' un meccanismo in mano a due o tre persone, il segretario generale e qualche suo consigliere...
Ma molti altri accettano e seguono.
Così si autoconservano le burocrazie (che conosco bene, facendone parte), superando e annullando le differenze di idee o le appartenenze partitiche. Perché quella burocratica è diventata la più forte delle appartenenze.
La minoranza della Cgil con la campagna per il no va fuori linea. Per statuto solo il comitato direttivo può decidere su questioni di carattere confederale e la consultazione degli iscritti prevede l'esposizione del solo punto di vista votato dalla maggioranza: «oggettivamente» fuori dall'organizzazione, come si diceva un tempo?
I criteri della consultazione sono tanto assurdi da permettere a ogni categoria di fare ciò che vuole. Il termine «afferenti al sistema Confindustria» - sarà un altro barocchismo? - per definire la platea delle aziende in cui si voterà permette qualunque manovra. Del resto anche i criteri di voto sono stati decisi in una piccola stanza e poi votati a maggioranza dal direttivo, senza alcuna discussione preliminare. Tuttavia noi faremo la nostra battaglia, tra gli attivi rappresentiano il 25% degli iscritti e mi rifiuto di pensare che in Cgil non si possa esprimere e organizzare il dissenso. Sarebbe un ritorno a un mondo che non esiste più.
Il manifesto del 14/07/2011