Roberta Fantozzi

fincantieri_anconaHanno dovuto superare mille ostacoli i lavoratori di Fincantieri. L'ultimo è stato quello di non rispondere alla provocazione della gestione della piazza ieri a Roma. Spostata dal governo la sede dell'incontro per impedire evidentemente che il "fastidioso rumore" della denuncia e della lotta operaia occupasse il centro della città, mentre i lavoratori di Castellammare presidiavano l'Eur, per quelli venuti in massa soprattutto dalla Liguria, la giornata di ieri è stata una specie di Odissea tra vie blindate da uno spiegamento grottesco di forze dell'ordine, mai così tante per una manifestazione di lavoratori.
E' in questo clima, specchio insieme della debolezza e della pericolosità del governo Berlusconi, che è arrivata la notizia del ritiro del piano di Fincantieri. Una vittoria della lotta e dell'unità operaia, di una mobilitazione che ha attraversato tutti gli stabilimenti e i territori, sottraendosi alla logica di chi, come la Lega, ha lavorato sulla difesa di un sito produttivo contro l'altro, riproponendo la consueta divisione e messa in competizione dei lavoratori e dei territori. Una vittoria conquistata anche attraverso la mobilitazione dei diversi livelli istituzionali locali e di interi settori sociali, a fianco dei lavoratori.



Il passo indietro di Fincantieri è la presa d'atto dell'insostenibilità della situazione che si sarebbe venuta a creare in assenza di risposte positive. Il campo è dunque sgombro da quel piano irricevibile che con la riduzione di quasi un terzo dei lavoratori diretti, la chiusura di due stabilimenti e il drastico ridimensionamento di un terzo, prefigurava in realtà lo smantellamento dell'intero comparto della cantieristica navale nel nostro paese. Un piano che, per altro verso, annunciava interventi pesantemente peggiorativi sulle condizioni di lavoro e i diritti sindacali, in un settore in cui esternalizzazioni, appalti e sub-appalti, mettono già oggi in discussione la sicurezza e la salute dei lavoratori. Il campo è sgombro e la lotta paga. Ma sulla vicenda di Fincantieri quello che si è compiuto oggi non è che un primo passo. E si tratta ora non solo di tenere alta l'attenzione, ma di costruire un vero e proprio cambio di rotta.
Fincantieri può e deve essere il terreno su cui far ripartire una proposta di politica industriale che difenda l'occupazione, le competenze e le capacità produttive degli stabilimenti per produrre beni e servizi socialmente utili.
L'assenza totale del governo Berlusconi e di Confindustria sul terreno delle politiche industriali, altra faccia della medaglia di un modello produttivo e sociale tutto giocato sull'azzeramento dei diritti del lavoro, va rovesciata nella capacità di rimettere a tema il "cosa, come, per chi produrre", e quale tipo di intervento pubblico mettere dunque in campo, a partire da un'azienda che è una delle poche ancora in mano pubblica. E' una discussione non banalizzabile in poche righe e a cui è necessario rispondere con specifici momenti di discussione, ma certo appare del tutto condivisibile il ragionamento avanzato da Guido Viale qualche giorno fa. Il nostro paese che dispone, per "natura" di due straordinarie autostrade del mare, è invece uno dei paesi caratterizzati da una pesantissima distorsione, con il 65% del trasporto merci su gomma.
E' un modello di trasporto che produce costi sociali elevatissimi e che impatta pesantemente sull'ambiente sia in termini di consumo di energia che di emissioni di gas serra. La riconversione del nostro sistema di trasporti, la capacità di mettere in campo un piano socialmente e ambientalmente sostenibile per la mobilità delle persone e delle merci, è un obiettivo di straordinaria portata. Che potrebbe dare lavoro per molto tempo alla cantieristica navale, evitando di continuare a dilapidare risorse pubbliche in progetti sbagliati e dannosi come la Torino-Lione o il Ponte sullo stretto, con il loro costo di quasi 20 miliardi a carico dello Stato.
Saremo con i lavoratori di Fincantieri con il realismo necessario a dare risposta prima di tutto alla salvaguardia dell'occupazione, ma anche con la consapevolezza che oggi più che mai è necessario mettere in campo progetti di lungo respiro, un nuovo intervento pubblico per difendere insieme lavoro, produzioni, ambiente.

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