di Gianluigi Pegolo*

 

Dopo il drastico ridimensionamento dei fondi nazionali del governo Berlusconi, il welfare locale si sostiene ormai essenzialmente sulla spesa degli enti locali e, nella fattispecie, dei comuni.

Il ruolo degli enti locali nella difesa del welfare è quindi essenziale. Si consideri che rispetto alla sola spesa corrente dei comuni qualcosa come il 30% è investito in questi servizi, percentuale che, pur se inferiore ad altri paesi, ne indica l’incidenza rilevante sulle politiche locali.

Il welfare locale (e in particolare quello comunale) garantisce un insieme di diritti fondamentali: quelli dell’infanzia, degli anziani, delle fasce a basso reddito, dei soggetti che rientrano nel campo vasto delle nuove povertà. Una platea di soggetti che la crisi tende viepiù ad allargare per effetto della caduta occupazionale e, conseguentemente, della riduzione dei redditi. Senza contare l’incidenza di dinamiche più generali come la crescita progressiva della quota di anziani. Tutto ciò avviene in un paese in cui, peraltro, questi stessi diritti già da prima erano in alcune aree negati o soddisfatti solo parzialmente.

Di fronte alla crescita della domanda sociale indotta dalla crisi dovrebbe corrispondere l’incremento della spesa. Avviene invece il contrario, per effetto del drastico ridimensionamento dei fondi nazionali, dei tagli ai trasferimenti agli enti locali e per il continuo inasprimento del patto di stabilità. I comuni, in primis,  sono costretti o a tagliare i servizi, o a limitarne l’espansione necessaria. Frequentemente essi vengono esternalizzati, non senza effetti negativi sul piano della qualità e dei costi per gli utenti. Molto spesso la riduzione delle risorse viene compensata, nei servizi a domanda individuale, dall’incremento delle tariffe.

Se vi è un tratto tendenzialmente comune nelle amministrazioni di sinistra e di centro sinistra, questo è il tentativo di salvaguardare questo patrimonio civile rappresentato dai servizi sociali locali. Alcune delle misure assunte a tal fine rischiano, tuttavia, di essere ugualmente letali dal punto di vista degli effetti sul piano sociale. Ciò vale, in particolare, per la generale crescita dell’imposizione fiscale attraverso l’adozione delle addizionali IRPEF, l’applicazione dell’IMU, la crescita di altre imposte comunali. A questo si aggiunge l’alienazione di beni pubblici e la privatizzazione dei servizi pubblici locali.

Siamo in presenza, quindi, di una tragica alternativa: o ridurre l’offerta di servizi o incrementare il prelievo fiscale e la cessione di beni pubblici. In entrambi i casi si erodono i diritti di cittadinanza e ciò vale, in modo particolare, per le fasce a reddito più basso. La qual cosa pone un problema gigantesco dal punto di vista democratico, in un duplice senso: sia per quanto riguarda la messa in discussione del principio di eguaglianza dei cittadini, contenuto nell’articolo 3 della Costituzione, sia per quanto attiene al ruolo delle istituzioni locali. Nel momento in cui, infatti, gli enti locali diventano prevalentemente esattori (si pensi all’aberrazione di un’imposta municipale che prevede il 50% delle risorse ricavate localmente trasferite allo stato) e si riduce la loro offerta di servizi, viene meno, oltre che la loro autonomia, anche la loro legittimazione sociale.

Che fare allora? Non se ne esce senza rimettere in discussione il patto di stabilità interna, da un lato, e il sistema fiscale, dall’altro. Scelte, quindi, che oltrepassano la dimensione locale e che intervengono direttamente sulla politica economica nazionale. Nel patto di stabilità vanno eliminate assurde disposizioni che impediscono alle amministrazioni che hanno risorse di spenderle, ma soprattutto occorre che la spesa sociale non sia a tal  punto vincolata da negare i diritti fondamentali. Ciò comporta la necessità, altresì,  di contrastare quelle scelte assunte dalle autorità europee, come l’inserimento in Costituzione del vincolo del pareggio di bilancio e l’assunzione del “fiscal compact”come manovra pluriennale sul debito, che tendono ad inasprire irreversibilmente le norme relative al patto di stabilità interna. 

Il secondo fronte, quello della politica fiscale, pone anch’esso l’esigenza di un’alternativa radicale, in primo luogo basata su una fortissima progressività. Qui la questione della patrimoniale è centrale, così come lo è lo sgravio fiscale ai soggetti a reddito medio basso. Ma non basta, occorre una modifica profonda del rapporto fra imposte dirette e indirette e fra fiscalità generale e fiscalità locale. In questa situazione la fiscalità locale, che ha un senso poiché garantisce un’autonomia di risorse e di scelta alle amministrazioni locali, non può, tuttavia, diventare lo strumento aggiuntivo della fiscalità generale.

Il ripristino della funzione sociale degli enti locali pone la necessità di una vertenza con il governo. Tale vertenza deve muovere da un obiettivo centrale che non può che essere quello della modifica del patto di stabilità interno. Ci soccorre qui un’indicazione preziosa venuta dall’ANCI. Mi riferisco alla “non applicazione del patto di stabilità” per le spese ritenute socialmente prioritarie da parte dei comuni. Un’indicazione ineccepibile, nel momento in cui vincoli finanziari astratti non possono mettere in discussione fondamentali diritti sociali sanciti dalla Costituzione.

E’ del tutto evidente che quando si parla di priorità sociali ci si riferisce, in primo luogo, a quei servizi sociali locali che, come si è in precedenza sottolineato, costituiscono una componente essenziale del welfare.  A tale proposito, è necessaria  una mobilitazione che si allarghi dalle istituzioni locali alle comunità locali e ai soggetti sociali. Intorno a quest’obiettivo generale è possibile  riunificare un fronte ampio che metta insieme le esperienze più avanzate del terzo settore con gli utenti dei servizi. La rete dei comuni che si è costituita a Napoli può svolgere in questo quadro un ruolo importante come – ovviamente - la stessa ANCI.

Gianluigi Pegolo

La sinistra unita per cambiare Palermo,  di  Antonio Marotta.

Ancora una volta le vicende politiche palermitane e siciliane assumono il carattere di laboratorio politico.

Le  anticipazioni delle formule oggi sperimentate  a Palermo potrebbero trovare, infatti,  future conferme sul quadro nazionale, per le analogie sui temi dell’opposizione sociale e politica e della formazione delle rappresentanze istituzionali, determinate  da una nuova probabile legge elettorale che potrebbe introdurre come in Sicilia alte soglie di sbarramento.

Il governo regionale del Presidente Lombardo, recentemente oggetto di richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio con i boss, che vede la partecipazione del PD insieme al terzo polo, ma anche la recente costituzione del governo nazionale  Monti, hanno  rivestito un ruolo chiave nella fase  di costituzione delle coalizioni in questa  tornata elettorale siciliana.

Ed ancora in tale contesto è significativo  il fenomeno di disgregazione e di riaggregazione trasversale a tutti i partiti di componenti e lobby interne, che si autonomizzano scegliendo di schierarsi liberamente, condizione che crea coalizioni anomale,  anticipatrici di possibili scenari nazionali. Il superamento del sistema bipolare che si percepisce chiaramente  negli avvenimenti  politici siciliani diviene l’elemento chiave per capirne gli sviluppi.

L’esigenza di contrastare il l tentativo dell’MPA e di una parte del PD di riproporsi uniti nei comuni chiamati al voto, è stata il terreno su cui si è costruita una prima aggregazione delle forze di sinistra e di centrosinistra che rivendicavano, a partire da una netta opposizione al governo Lombardo, la necessità di ricostituire un fronte democratico  ampio di centrosinistra che,  in quest’ottica, potesse riconquistare anche lo stesso PD, o parte di esso.

Abbiamo esercitato in tale fase una forte pressione, in particolare sollecitando la radicalità di IdV e  la coerenza di Leoluca Orlando, con una proposta netta: nessun accordo è possibile , ne al primo ne al secondo turno,  con l’MPA ed il terzo polo.

L’iniziale prestigiosa candidatura, da parte del PD nazionale,di Rita Borsellino, assolutamente contraria ad ogni accordo con il terzo polo, aiutava tale processo rafforzando l’unità della sinistra della coalizione.

Si costruisce, così, un’alleanza basata  su una forte unità di vedute  fra la Federazione della Sinistra ed Italia dei Valori, a cui si aggregano i Verdi, che insieme legano le questioni locali a quelle nazionali.

Le posizioni altalenanti di SEL, che ripropongono lo scenario delle amministrative di Napoli,  evidenziano il  forte  condizionamento che questa subisce dal rapporto privilegiato con il PD,  da mantenere ad ogni costo ed a qualsiasi prezzo. SEL si manifesta, nella vicenda palermitana,  come se fosse una componente di sinistra interna-esterna al PD.

In tale contesto Rita Borsellino affronta le primarie fiduciosa della vittoria, senza comprendere che queste sono divenute ormai un terreno scivoloso  e la tomba stessa del progetto politico dell’unità del centrosinistra. L’ala filolombardiana del  PD, capitanata dai deputati Cracolici e Lumia, che non può consentire la messa in discussione dell’accordo regionale,  utilizza strumentalmente le primarie sostenendo  Fabrizio Ferrandelli, ormai disponibile ad ogni alleanza, determinandone  la  vittoria.

Occorre alla luce dell’esperienza palermitana porre con forza l’incongruenza delle primarie come tema nazionale per trovare nuove forme partecipate e maggiormente  trasparenti.

La storia delle primarie di Palermo è innanzitutto storia di un voto inquinato dalla partecipazione di cittadini elettori dei  partiti del terzo polo. Ma è anche storia di brogli, oggetto di attenzione della magistratura che sta indagando su una rappresentante di lista di Ferrandelli, che hanno determinato l’annullamento da parte della commissione di garanzia dell’intero voto espresso nel seggio del quartiere dello  ZEN. In una città come Palermo dove il voto di scambio, la compravendita del consenso sono pratiche diffuse, l’esito delle  primarie non può minimamente essere oscurato da comportamenti inaccettabili e da risultati discutibili.

Ma  la scelta  delle primarie come metodo da preservare a qualsiasi costo è prevalsa al di là della valutazione di  un reale coinvolgimento del popolo della sinistra e dei gravi fenomeni  di inquinamento delle stesse. Negarne  il risultato per tutto il PD ed ancor di più per SEL significava mettere in crisi il sistema stesso delle primarie.

Sull’esito delle primarie si determina la spaccatura trasversale del centrosinistra,  da una parte tutto il PD e SEL con Ferrandelli,   sostenuto dai fautori dell’accordo con il terzo polo e con L’MPA di Lombardo, e dall’altra una coalizione di sinistra con  IdV , Federazione della Sinistra  ed  i Verdi, che da sempre ha manifestato la netta opposizione a soluzioni compromissorie e trasformistiche.

La candidatura di Orlando, il sindaco della primavera palermitana,  riapre le speranze di cambiamento e di riscatto di una città in profonda crisi economica e sociale, sfregiata dal governo del centrodestra del sindaco Cammarata.  Una “Venere degli stracci” di Pistoletto, magnifica ma  inondata dalla spazzatura.

Leoluca Orlando, alla testa di una coalizione di sinistra, può cancellare l’esperienza negativa di un comune che non riesce ad assicurare l’inquadramento ad i suoi lavoratori precari e che si avvia verso il  default finanziario. Palermo deve necessariamente marcare una profonda discontinuità con il passato ma anche con il presente segnato dal compromesso e dal trasformismo politicista, deve ripartire con la difesa dei beni comuni e dell’acqua pubblica, con la lotta alla mafia ed ai poteri criminali.

Su questi temi abbiamo costruito la lista della sinistra e degli ecologisti per Palermo costituita dalla  Federazione della Sinistra ed i Verdi  primo momento di un progetto di aggregazione della sinistra diffusa palermitana. Una lista costruita da uomini e donne espressione di lotte e di movimenti veri, capeggiata dalla compagna Letizia Battaglia, intellettuale ed artista di stampo europeo, e da figure significative come Franca De Mauro o Barbara Evola leader dei precari della scuola, da  Delfine Nunes  mediatrice interculturale, da Giuseppe Salomone lavoratore in lotta della coop XXV Aprile  e  Giuseppe Bova operaio dei Cantieri Navali, da Matilde Incorpora, architetto espressione del movimento “marenegato” e da  Franco Ingrillì , medico,  protagonista del film denuncia sulla mala sanità in Sicilia “la mafia è  bianca”, e da tanti altri ed altre riconosciute ed autorevoli compagni e compagne. Significativa è la presenza all’interno della lista anche di diversi compagni già  iscritti a SEL ma  che non ne hanno condiviso le scelte incoerenti,  tra i quali  i compagni Ermanno Giacalone, ex consigliere comunale,  e Dario Sulis, affermato musicista palermitano,  che testimoniano la correttezza delle nostre intuizioni.

Superare lo sbarramento del  5% non sarà certo semplice, ne tantomeno un pranzo di gala, ma possiamo con consapevolezza ritenere di aver  già costruito tutte le premesse possibili per realizzare a Palermo, laboratorio politico, l’unità della sinistra e l’avanzata della Federazione della Sinistra.

 

*Responsabile dipartimento "Democrazia, istituzioni, partecipazione" PRC

 

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