di Domenico Gallo*

 

L'approvazione con maggioranza bulgara della riforma dell'art. 81 della Costituzione sulla disciplina di bilancio è il banco di prova che dimostra quanto sia operativa la convergenza fra le principali ed opposte forze politiche in tema di riforme istituzionali.


All'orizzonte si profila un altro patto di ferro per una riforma  organica della Costituzione in punto di forma di governo e di forma di Stato, secondo la falsariga della c.d. bozza La Loggia, i cui contenuti sono stati già divulgati, anche se l'articolato non è stato ancor presentato.
In parallelo al progetto di riforma della Costituzione è stato elaborato un progetto di riforma elettorale, considerato coerente con il disegno politico che sostiene la riforma costituzionale.
Per fortuna la legislazione sta volgendo al termine e quindi nei sei mesi effettivi di lavoro parlamentare che rimangono è difficile che si possa far passare un progetto di riforma delle istituzioni democratiche, così impegnativo, in assenza di un reale dibattito politico nel paese ed  in modo semi-clandestino, com'è avvenuto per la riforma del bilancio.
Invece è possibile che vada in porto una riforma elettorale, che è spinta dalla forza delle cose, in considerazione dell'insostenibilità per l'opinione pubblica dell'attuale disastroso sistema elettorale, originato dalla legge Calderoli.
 L'articolazione tecnica di questa nuova proposta di riforma è contenuta nel disegno di legge n.3122 d'iniziativa del sen. Ceccanti e di altri, presentato al Senato il 30 gennaio 2012.
Il ddl Ceccanti è preceduto da una relazione inconsistente. Per quanto possa sembrare strano, la relazione che illustra la proposta di riforma elettorale è contenuta nella relazione alla bozza La Loggia, che illustra il disegno di riforma costituzionale. La relazione si esprime come segue.

“Riforma elettorale

La riforma del sistema elettorale deve, a nostro avviso, innanzitutto, consentire agli elettori di giudicare la qualità dei singoli candidati al Parlamento, superando le lunghe liste bloccate della legge attualmente in vigore. Deve frenare la frammentazione politica, garantendo un pluripartitismo moderato e preservare la dinamica bipolare e l'alternanza, senza tuttavia imporre la formazione di coalizioni preelettorali artificiose, prive di coesione programmatica. Deve, dunque contenere elementi maggioritari tali da promuovere le aggregazioni e da sollecitare una trasparente competizione tra grandi partiti reciprocamente alternativi.
Riguardo alle modalità di presentazione delle candidature e quindi della scelta dei singoli parlamentari da parte dei cittadini, è giustamente condivisa l'idea che convenga seguire il modello tedesco. Ciò significa prevedere che metà dei seggi sia attribuita nell'ambito di collegi uninominali al candidato che, in ciascun collegio, avrà preso più voti, e che l'altra metà sia distribuita in modo da realizzare una compensazione proporzionale, sottraendo, quindi, dal totale dei seggi spettanti a ciascun partito su base proporzionale quelli già conquistati nei collegi uninominali. Gli elettori darebbero un solo voto valido per i candidati di collegio e per le liste circoscrizionali di uno stesso partito. Le liste circoscrizionali dovrebbero essere davvero “corte” in modo da garantire una perfetta riconoscibilità dei candidati proposti dai partiti per l'elezione. Si potrebbe stabilire che non siano formate da più di tre o quattro candidati, prevedendo che laddove un partito abbia diritto a più seggi e non ne abbia conquistati abbastanza nei collegi uninominali della stessa circoscrizione, vengano ripescati i suoi migliori perdenti negli stessi collegi. Sarebbe così assai facile svolgere elezioni primarie per la scelta dei candidati, come minimo nei collegi uninominali. Verrebbe ristabilità una relazione più immediata e diretta tra elettori e singoli candidati, di collegio e di circoscrizione, senza tornare alle preferenze.
Riguardo alle modalità di ripartizione dei seggi fra i partiti, il sistema elettorale non dovrebbe, a nostro parere produrre un puro rispecchiamento proporzionale. Deve essere il più possibile semplice. Non riteniamo dunque adeguate soluzioni che tendono a generare una distribuzione perfettamente proporzionale dei seggi le quali verrebbero poi artificialmente “corrette” con soglie, premi e ripartizioni selettive di quote riservate di seggi. Soluzioni di questo tipo, oltre ad essere inutilmente complicate, rischiano di essere inefficaci, di produrre sperequazioni non giustificabili ed effetti paradossali non previsti.
A nostro avviso la soluzione preferibile consiste nel ripartire i seggi circoscrizione per circoscrizione, senza recupero dei resti, come nella legge elettorale adottata per la Camera bassa in Spagna. La soglia contro la frammentazione ed il premio per i partiti più grandi sarebbero prodotto in maniera implicita e graduale da un unico parametro: il numero dei seggi assegnati in ciascuna circoscrizione. Se le circoscrizioni non sono troppo grandi né troppo piccole (prevedendo in media l'assegnazione di 14 seggi, 7 dei quali in collegi uninominali), questo sistema crea una “barriera naturale” alla frammentazione perchè, per conquistare uno dei circa 14 seggi in palio, bisognerà avere intorno al 5% dei voti. I partiti che ottengono più o meno il 10% dei voti avranno, grosso modo, nell'aggregato nazionale, il 10% dei seggi; quelli più piccoli saranno un po' sottorappresentati (salvo i partiti con forte insediamento in specifiche regioni), quelli più grandi moderatamente sovrarappresentati. Un partito che dovesse scendere al livello nazionale, fino a circa il 3% dei voti, potrebbe ancora ottenere seggi in qualche circoscrizione e vedersi quindi riconosciuto, senza stabilire ulteriori soglie o quote riservate, un diritto di tribuna.
Premiando le integrazioni, il sistema che proponiamo (tedesco con correzione spagnola) stimolerebbe il riassetto del sistema politico intorno a 5/6 partiti e manterrebbe viva la dinamica bipolare attraverso la competizione, decisiva, fra i due partiti più grandi.” 

Per meglio comprendere come funzionerebbe questo sistema occorre precisare che è stata comunque istituita una soglia minima per l'accesso alla ripartizione circoscrizionale dei seggi, si tratta di una soglia nazionale al 3% per la Camera e regionale al 4% per il Senato.
Occorre precisare, inoltre che sono previste per la Camera dei Deputati ben 47 circoscrizioni. Poiché il numero dei deputati da eleggere (escludendo la circoscrizione estero) – a Costituzione vigente - è di 618, la circoscrizione media non è di 14 ma di 13 seggi. In pratica la misura più frequente delle circoscrizioni oscillerà fra i 10, 12, 14 e 16 seggi. Per questo nelle singole circoscrizioni la “barriera naturale” per l'accesso ai seggi, sarà superiore al 5% ed oscillerà fra il 7 ed il 10%.

Fatte queste premesse, bisogna rilevare che questa riforma annunzia due novità di grande rilievo.
La prima è che si è rotto il dogma del bipolarismo forzato e del suo corollario, il sistema elettorale maggioritario.
La seconda è che, assieme al bipolarismo forzato è franato anche il mito che le elezioni servano ad eleggere un governo e ad investire un capo politico della “missione” di governare perchè scelto dagli elettori..
Sono i due miti, autoritari e palesemente incostituzionali, che hanno avvelenato per venti anni il clima politico-istituzionale, generando il fantasma della c.d. “seconda Repubblica”, che adesso, per fortuna, è arrivata al suo punto finale.
Del resto  è' stato proprio Berlusconi, con la sua mistica del Capo votato direttamente dal popolo, a  disvelare il carattere populistico, autoritario ed antiparlamentare del mito secondo cui attraverso le elezioni i cittadini sono chiamati a scegliersi un Governo e un Capo di Governo. Che non può più essere cambiato fino alle elezioni successive, per cui il sistema elettorale deve essere coerente con quest'obiettivo, orientando la scelta degli elettori all'investitura del Capo del Governo e della sua maggioranza, sulla base di un programma e di alleanze necessariamente precostituite. 
Di conseguenza è franata anche la pretesa che le alleanze politiche si debbano necessariamente costruire prima delle elezioni per presentare agli elettori un programma comune e debbano restare cristallizzate per tutta la legislatura. Infatti i promotori hanno riconosciuto che attraverso la legge elettorale non si deve “imporre la formazione di coalizioni preelettorali artificiose, prive di coesione programmatica”.
Questo significa che il procedimento elettorale viene ricollocato nella sua funzione istituzionale di selezionare la rappresentanza sulla base del pluralismo delle proposte politiche.
Quanto alla trasformazione dei voti in seggi, coloro che hanno articolato la proposta elettorale si sono “arresi” al metodo proporzionale, sebbene si tratti degli stessi personaggi che, per anni, hanno cantato le virtù del maggioritario. 
In realtà quello che contano sono i fatti. Sono i fatti che hanno sconfitto il bipolarismo forzato che ha raggiunto il suo apice nelle elezioni del 2008, che non a caso si sono risolte in un disastro per la sinistra.. La drastica riduzione del pluralismo e l'accorpamento di tutte le opzioni politiche e di valore intorno a due maxi-partiti, alla fine ha fatto implodere il meccanismo artificiale messo su da Veltroni e Berlusconi, attraverso una interpretazione “bipartitica” del porcellum.
E' la dura lezione dei fatti che ha dimostrato che il sistema politico non può essere compresso nella camicia di forza di un bipolarismo/bipartitismo forzato.
La riforma elettorale che viene proposta ha dalla sua la ragione dei fatti che dimostrano che il pluralismo non può essere soffocato e la rappresentanza non può essere compressa all'interno del partito unico di destra o di centro-sinistra.
Se queste sono le luci, tuttavia, sono evidenti in questa riforma delle ombre fortissime che nascono dall'esigenza di fornire un paracadute ai due principali partiti (ed in parte alla Lega) per evitare che la caduta nel metodo proporzionale possa far perdere il privilegio assicurato dai precedenti sistemi elettorali.
E' stata proprio questa esigenza a dettare il tentativo di innestare il sistema spagnolo, all'interno del  più garantista modello tedesco. La chiave di volta è rappresentata dalla scelta di abolire ogni forma di recupero nazionale dei resti, rinchiudendo la trasformazione dei voti in seggi all'interno dei confini di ogni singola circoscrizione.
Questa situazione comporta una “barriera naturale” per l'accesso alla rappresentanza politica, che limiterà fortemente, se non impedirà del tutto la rappresentazione dei partiti minori, o la nascita di nuovi partiti, con una conseguente sovrarappresentazione dei due partiti maggiori e di partiti a base  localistica come la Lega. Quanto più sono ridotte le circoscrizioni, tanto maggiore sarà la soglia d'accesso e tanto maggiore sarà la distorsione del rapporto fra gli eletti e la volontà espressa dagli elettori.
Per chi non è presente in Parlamento è difficile battersi per correggere le storture di questa riforma annunziata. Tuttavia è sbagliato ritenere che gli effetti di questo nuovo sistema elettorale si risolvano in una fotografia delle forze politiche presenti in Parlamento. In realtà anche i partiti che hanno sulla carta un consenso che consente di collocarli extra-soglia, rischiano di essere fortemente penalizzati, poiché i risultati non sono mai omogenei sul territorio nazionale e quindi in molte zone resterebbero al di sotto della soglia circoscrizionale con una perdita enorme di resti.
C'è un complesso di forze politiche che, avendone interesse, potrebbe costituire massa critica per ottenere delle significative correzioni a questo modello. Più che battersi per il recupero dei resti in un collegio unico nazionale, che potrebbe comportare il rischio che venga ulteriormente innalzata la soglia del 3%, converrebbe puntare sull'allargamento delle circoscrizioni. Circoscrizioni di 25/30 seggi comporterebbero una forte riduzione della “barriere naturale” all'accesso alla rappresentanza ed una minore dispersione dei voti, favorendo il pluralismo, pur resistendo alla frammentazione, e rendendo il risultato  più fedele agli orientamenti espressi dal corpo elettorale.  
In ogni caso, anche se la dimensione delle circoscrizioni dovesse comunque rimanere conforme all'impostazione originaria della riforma, gli effetti di questo sistema potrebbero essere molto differenti, a seconda del comportamento concreto delle singole forze politiche.
In realtà ogni sistema elettorale comporta dei risultati differenti, a seconda di come viene agito dai principali attori politici.
Si pensi ai risultati del porcellum, alla sua prima sperimentazione, nel 2006, quando si seguì il metodo Prodi delle coalizioni, ed ai risultati disastrosi che si sono verificati con lo stesso sistema elettorale, nel 2008, quando si è seguito il metodo Veltroni, della rottura delle alleanze.
Questo nuovo sistema elettorale è concepito per consentire al PD ed al Pdl di correre da soli, in quanto non trarrebbero alcun vantaggio dalle alleanze. I partiti minori, invece, se corrono da soli rischiano di essere fortemente ridimensionati, se non addirittura cancellati. Se, invece, si coalizzano, eliminano lo svantaggio e ne potrebbero essere anche avvantaggiati.
Occorre considerare, inoltre, che il voto unico, sia per il collegio uninominale che per la lista proporzionale, può offrire un grande vantaggio ai partiti minori che sappiano proporre candidati autorevoli nei collegi uninominali. (Si pensi, per es. all'esperienza delle primarie nelle elezioni amministrative, dove – a volte – candidati di partiti minori hanno battuto il candidato del partito maggiore della coalizione).   Infatti, il consenso ad un candidato “forte” nel collegio uninominale si trasferisce automaticamente nel voto per la lista nel proporzionale.

In definitiva, malgrado gli evidenti limiti di sistema (che possono essere corretti), non bisogna guardare con ostilità a questa proposta di riforma elettorale. Essa ci annunzia che  è finita l'epoca del maggioritario e che la cappa di piombo che da 20 anni a questa parte ha gravato sulla rappresentanza  può essere rimossa.

 

*Magistrato

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