Una conversazione fra Gianni Ferrara* e Bianca Braccitorsi*

 

Corrono tempi così bui che non è facile nemmeno incontrare un compagno o una compagna, di militanza lontana o recente, che si chiami fuori dalla categoria di chi vive solo di rimpianto per un passato che spesso la nostalgia colora con più rosso del dovuto, o da quella di coloro che trovano sollievo nella rabbiosa accusa a tutti i viventi di ieri e di oggi ugualmente colpevoli di questa disastrosa realtà.

Perciò ho considerato prezioso dono della sorte l’opportunità di trascorrere un’ora con Gianni Ferrara, uno dei nostri maggiori costituzionalisti e compagno mai pentito e mai arreso, parlando di fascismo e di partigiani, di lavoro, di storia e di Costituzione, alla vigilia del 25 aprile. Mi è sembrato giusto condividere con più compagni e compagne le nostre osservazioni, le nostre proposte e i nostri ricordi da offrire come un regalo di 1° maggio.

Braccitorsi

Il 25 aprile di quest’anno dovrebbe essere una giornata di lotta più che di festa. Mi pare che ci sia poco da festeggiare e molto da stare allerta. La democrazia italiana è a rischio, io lo chiamo rischio di un fascismo di ritorno, con divise e facce diverse  ma con le idee e le pratiche di sempre che considera principale nemico da abbattere la Costituzione repubblicana, forse ultimo baluardo della democrazia e della libertà. Qualcuno la dichiara superata ma in realtà metà dei suoi articoli non sono stati ancora resi operanti , mente l’altra metà è stata concretizzata da leggi, conquistate da lunghe e aspre lotte, che ci stanno scippando una ad una.

Ferrara

La vittoria antifascista del 25 aprile 45 ha una qualità, da sottolineare, che la rende fondamentalmente diversa da quella conquistata dall’esercito italiano sugli Imperi centrali nel 1918. Una vittoria dello Stato Sabaudo alla quale seguirono il marasma dello Stato e poi il fascismo.  Il 25 aprile invece fu una vittoria del popolo antifascista dalla quale uscirono la Repubblica e la Costituzione, voluta dal popolo che non poteva non tener conto delle esigenze delle masse popolari. Ecco l’origine del carattere profondamente democratico della Costituzione repubblicana oggi messa in discussione.
Mi ha molto turbato una frase del Presidente del Consiglio “pro tempore”, prof. Monti, senatore per aver illustrato la Patria con alti meriti, non so quali siano questi meriti ma c’è ne uno che gli riconosco: dire sempre ciò che pensa. Con eleganza ma con violenza, come nella risposta alla Camusso che faceva riferimento alla Costituzione. “La Costituzione dobbiamo modificarla, dobbiamo adeguare la Costituzione formale a quella materiale”. Mi ha turbato la protervia di Monti ne pronunciare l’espressione “Costituzione materiale”, una formula inventata in Italia per legittimare il fascismo e diffusa in un libro del 1939, che voleva mettere in disparte lo Statuto Umbertino, che pur non esprimendo particolare sensibilità liberale e democratica, riconosceva qualche diritto di libertà sufficiente a ingombrare la strada alla totale egemonia e al potere assoluto del Partito Nazionale Fascista. Un libro a cui si ispira oggi l’idea che la materialità della forza politica dominante possa imporsi al di là delle norme e delle regole del dover essere della Repubblica,come noi, eredi della concezione marxista del mondo e della vita umana, vorremmo che fosse. Non possiamo quindi che allarmarci.

Braccitorsi

Oltre all’allarme pesa su ognuno di noi la preoccupazione di non riuscire ad affrontare in tempo una situazione che impone tempestività e non consente errori. Molti parlano della Costituzione senza sapere che ha a che vedere con il loro stipendio, con l’affitto di casa, con la scuola dei propri figli. Non sanno che la Costituzione, trasformando gli italiani da sudditi in cittadini con i diritti e doveri uguali per tutti e tutte, ha impegnato la Repubblica a garantire diritti essenziali come lo studio, il lavoro, la libertà sindacale e politica, la dignità di ogni uomo e di ogni donna. Sono i valori per i quali combatterono e morirono operai, contadini, studenti, professionisti e intellettuali, saliti in montagna o entrati in una insicura clandestinità cittadina, nel 1943, sognando un mondo di pace, lavoro, uguaglianza e libertà. Difenderli, difendere la Costituzione vuol dire opporsi alla “materialità” della FIAT che caccia il sindacato dalle sue fabbriche e impone ai lavoratori il più vecchio e odioso dei ricatti: “o accetti l’orario e lo stipendio che ti proponiamo e ti impegni a non citare mai in giudizio l’azienda o te ne vai”. È la convinzione della necessità di resistere che dobbiamo riuscire a far diventare senso comune del popolo.

Ferrara

Quando parliamo della Costituzione repubblicana e dei principi che hanno sostituito quelli dello Statuto Umbertino parliamo di qualcosa di assolutamente nuovo, della guerra rivoluzionaria del popolo antifascista i cui caduti ci hanno lasciato, non solo a noi ma a tutto l’Occidente, un frutto che si chiama Stato sociale e che oggi sta per essere cancellato, se non lo è già stato, in Grecia, in Francia, in Spagna ma è al centro di un durissimo scontro in corso negli USA, dove un presidente della Repubblica che si era permesso di imporre una qualche forma di assistenza sanitaria pubblica è oggi sottoposto a un attacco tale da rischiare di non  essere rieletto.  Quello statunitense è stato l’unico, seppur moderato, tentativo di lotta di classe dalla parte dei lavoratori. Ovunque allo Stato sociale è stata sostituita l’ideologia del neoliberismo che il capitale fa girare da trent’anni, una ideologia che non ha mantenuto nessuna delle sue promesse e ha fatto fallimento provocando questa crisi economica mondiale. Il neoliberismo però continua a imporre le sue regole, i suoi principi e la sua visione del mondo perché, di fronte a una crisi del capitalismo che avrebbe potuto essere quella definitiva, non c’è oggi una alternativa mondiale che abbia la forza di opporsi. Il movimento operaio internazionale, che poteva essere il becchino del neoliberismo, era già stato distrutto quando avrebbe dovuto agire e non c’è oggi nessuna forza che possa prenderne il posto. È un compito terribile davvero che si impone a noi, ancora, fortunatamente, fermi nelle nostre idee, di fare in modo che gli uomini e le donne che chiamiamo oppressi, e lo sono sempre stati, prendano coscienza. Ma ancora una volta, quella Costituzione che vorrebbero relegare nell’archivio della storia, può essere uno strumento di lotta, risvegliando le coscienze assopite con il richiamo alla dignità e alla libertà di ognuno come detta l’articolo 36 che sancisce il diritto del lavoratore “a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare, a lui e alla sua famiglia, una esistenza libera e dignitosa”.  Poche righe che affermano una grande conquista di civiltà giuridica, politica e morale da proporre a coloro che stanno perdendo la speranza di un  futuro di dignità e umanità. Dobbiamo anche fare in modo che la Repubblica italiana, definita dalla Costituzione “fondata sul lavoro” non diventi una Repubblica fondata sull’impresa e gestita da una tecnocrazia. Un pericolo reale dopo che è stata dissolta la sua rappresentanza parlamentare con una legge elettorale che non permette ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti e falsifica i risultati del voto con il premio di maggioranza. La legge con la quale probabilmente andremo a votare l’anno prossimo; e questo significa che la democrazia italiana può diventare qualcosa che appare residuale di fronte alla realtà dei rapporti politici reali.

Braccitorsi

Certo residuale a confronto con una democrazia che consente alla aviazione di uno Stato di bombardare le città di un altro Stato senza dichiarazione di guerra e di occupare con l’alibi di “portatori di democrazia” Stati sovrani, con la collaborazione dell’Italia che deve risparmiare su tutto ma non può fare a meno dei nuovissimi aerei da guerra, ribattezzati “strumenti di pace”.
Ma parlare degli USA di Obama mi suggerisce il paragone, più lontano e inquietante, con la crisi del capitalismo del 1929 dalla quale gli USA sono usciti con il pur moderato keynesismo (che oggi passa per rivoluzionario) mentre in Italia il fascismo si rafforzava, abbassando per legge stipendi e salari e in Germania vinceva Hitler promettendo lavoro per tutti nelle fabbriche di armi. Nella crisi di questi anni si preferiscono le minacce: “volete finire come i greci?” è la frase più usata per bloccare il malcontento. Non funziona sempre, per fortuna, ma fa tremare chi sta in bilico sul penultimo scalino guardando con un misto di paura, disgusto e razzismo chi sta sotto di lui, che spesso somma alla colpa della miseria quella di una diversa nazionalità. È ancora il fascismo che torna con l’odio per lo straniero che Mussolini e Hitler avevano ripreso dalle comunità feudali nelle quali ogni straneo era considerato portatore di epidemie o di castighi divini. Per evitare questi cataclismi le nostre leggi sull’immigrazione – dalla Turco Napolitano alla Bossi Fini – rinchiudono nei CIE i migranti scampati al nostro mare. Migranti per fame e perseguitati politici che chiedono asilo, tutelati dall’articolo 10 della Costituzione che lo garantisce ad ogni straniero “al quale sia impedito l’effettivo esercizio delle libertà garantite dalla Costituzione” italiana. Un articolo che nessuno si è ancora preoccupato di “modificare” ritenendo sufficiente ignorarlo nella pratica con una legislazione che lo contraddice. Riusciremo a far capire ai lavoratori una verità che il capitale conosce benissimo: che gli immigrati non sono un peso ma un rafforzamento della lotta di classe nel nostro paese?

Ferrara

Un compito arduo sì. La divisione fra essere umani è sempre più marcata perché, messo di fronte alla disparità numerica dei detentori del capitale rispetto ai miliardi di uomini e donne che vivono sul nostro pianeta, che da una stima credibile risulta inferiore ai 12 milioni, il capitale non può che fare opera di frazionamento.  Come facciamo a far conquistare a quei miliardi di uomini e donne la coscienza della propria sottomissione  e del dominio che è stato loro imposto? È un compito enorme ma credo che noi dobbiamo incominciare già qui nel piccolo di questo paese dove viviamo, a fare informazione, chiarimento, demistificazione di quello che ci raccontano.

Braccitorsi

Sì, partire subito dalla propria realtà è giusto e qualcuno lo sta già sperimentando con successo: l’America Latina con un movimento che non riguarda più solo uno o due paesi come una volta ma quasi tutti gli Stati nei quali la coscienza popolare e l’orgoglio nazionale sono stati gli elementi fondanti di un processo democratico basato sulla diffusione dello Stato sociale – già presente a Cuba –, la riaquisizione delle proprie risorse naturali in mani straniere, la tutela del lavoro e della sovranità e della indipendenza dai dollari e dai marines dei loro scomodi vicini statunitensi.
E hai ragione anche sul cominciare con l’informazione, il chiarimento e la demistificazione, strumenti di lotta che il capitale teme, come dimostra il taglio dei contributi statali ai giornali controcorrente e il particolare accanimento contro Liberazione, più controcorrente di tutti. Perché il capitalismo o lo sconfiggi o ti sconfigge e sconfiggerlo bisogna anche per mettere il mondo al sicuro da ogni tipo di fascismo che il capitalismo tiene sempre di riserva. Una impresa difficile e lunga certo quella di riunire in una rinnovata coscienza democratica e antifascista, uomini e donne confusi e spaventati ma si vedono già germogli nuovi da far crescere mentre cresce a dismisura il numero di chi vive, o vorrebbe vivere, del proprio lavoro, aumentando il divario almeno numerico con i capitalisti. Potrebbe tornare attuale l’antico appello di un antico militante socialista: “Proletari! Voi credete di essere piccoli perché state in ginocchio: alzatevi e vi accorgerete di essere più grandi del padrone!”.

 

Bianca Bracci Torsi* Responsabile Antifascismo PRC

Gianni Ferrara* Costituzionalista Presidente dell'Associazione per la Democrazia Costituzionale

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