di Maria Zegarelli

«Il percorso è indicato proprio nell’ordinanza del gip. Si può garantire fin da subito la salute dei cittadini senza dover chiudere gli impianti: l’Ilva è una città e se chiudesse ci troveremmo di fronte al più impressionante cimitero industriale del mondo». Nichi Vendola insiste sulla necessità di una mediazione, quella a cui stanno lavorando governo, Regione e la stessa magistratura.

Vendola alla fine ritiene possibile arrivare ad una soluzione che scongiuri la chiusura?
«Non bisogna smarrirsi. Ripeto, l’ordinanza del gip descrive puntualmente quali sono gli elementi che pregiudicano la salute dei cittadini e credo che l’Ilva abbia le competenze per attuare un programma di interventi a brevissima, media e lunga scadenza.

Deve rimuovere subito quegli elementi che compromettono l’insieme del diritto alla salute, dalle partite di acquisto di cospicue quantità di filmante che serve a ridurre al minimo lo spolverio, come la riduzione della produzione nei giorni di vento forte, l’installazione di centraline di un monitoraggio più in profondità dell’impianto, che noi abbiamo chiesto...».

C’è chi giudica, a partire dallo stesso ministro Clini, un errore l’ordinanza del gip Todisco. Lei che ne pensa?
«Dobbiamo fare lo sforzo di capire in profondità il punto di vista della magistratura che esercita il controllo della legalità. Se sei nella condizione di ripetere infinite volte un atto che pregiudica la salute dei lavoratori e dei cittadini, o blocchi immediatamente quell’atto, avvalendoti delle tecnologie più avanzate, o chiudi perché altrimenti reiteri un reato. Detto questo, aggiungo che vanno bene tutti gli strumenti messi in campo dalle amministrazioni centrali e locali, ma adesso spetta all’Ilva rimuovere dalla scena del siderurgico tutto ciò che nuoce».

Il giudice Amendola, che in passato ha condotto indagini ambientali, si è chiesto dove eravate lei, Bersani e la Cgil mentre la gente a Taranto moriva.
«Mi dispiace che un magistrato, che stimo molto, affermi queste cose. Trovo offensivo questo attacco perché noi, come Regione, abbiamo fatto la differenza in questi anni. I primi controlli all’Ilva li ho fatti io nel 2008, abbiamo avviato con loro un negoziato molto duro, non soltanto sul versante dell’ambientalizzazione ma anche su quello della sicurezza sul lavoro: vorrei ricordare che le morti all’Ilva erano molto frequenti. E siamo stati noi a mettere l’Arpa nelle mani di uno scienziato, Giorgio Assennato, e a dotarla di un macchinario per il monitoraggio delle diossine che sono passate da 786 grammi l’anno a 3,4. Oggi abbiamo una legge antidiossine e antibenzopirene».

Eppure resta il tema: perché è dovuta arrivare la magistratura? «Attenzione, la magistratura e le assemblee legislative fanno due mestieri differenti. Che significa dire è arrivata prima la magistratura? Noi come Regione abbiamo agito da subito e ogni volta, sulla base di evidenze scientifiche, siamo intervenuti. Abbiamo fatto una terza legge, la più importante di tutte perché introduce un parametro nuovo che vale per tutte le industrie, non soltanto l’Ilva: la valutazione di danno sanitario».

Ma sull’Ilva si è scatenata anche una battaglia politica, oltre che sociale. Lei invoca, come molti altri, la mediazione. Di Pietro chiede l’applicazione dell’ordinanza.
«Io sono impegnato nel cercare una via d’uscita che possa essere anche una svolta storica. Non bisogna lodare la magistratura per una sorta di zelo istituzionale, bisogna farlo perché in questo caso la magistratura ha sanzionato qualcosa che è finalmente percepito come un fatto insopportabile. Abbiamo vissuto in un’epoca nella quale all’interno del ciclo produttivo la salute e la vita umana avevano sempre di più un peso e sempre meno un valore. Oggi la magistratura restituisce valore a quel diritto alla vita e alla salute che era stato confinato in uno spazio quasi privato. Mi rendo conto che è forte il tuono che rimbomba ed evoca patologie come il cancro e la morte, ma ci sono gli strumenti per spostare in avanti il conflitto tra industria e ambiente che si è aperto a Taranto».

Quindi va fatto tutto il possibile per scongiurare lo stop alla produzione?
«La domanda che faccio ai tanti che in questi giorni sentenziano sull’Ilva è soltanto una: ma davvero pensate che si possa chiudere il più grande polo della chimica? È progressista che l’Italia dismetta alcune sue antiche e robuste tradizioni produttive? È legittimo pensarlo ma io non sono d’accordo. È sbagliato ricondurre la questione in termini di una conflittualità irriducibile tanto più oggi che ci sono tecnologie che consentono abbattimenti importanti. Stiamo parlando di un problema generale, non è che le diossine e le polveri sottili sono specialità pugliesi».

No agli estremismi ambientalisti o “giustizialisti”?
«Avere una visione leggendaria e sensazionalistica non aiuta a trovare la soluzione e investire sul conflitto è molto sbagliato in una situazione come questa. C’è bisogno di ascolto reciproco e di uno sforzo mediazione. L’abbandono di una città industriale, come l’Ilva, difficilmente può tramutarsi in un evento di bonifica».

 

da l'Unità.it

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