di Ritanna Armeni
Si comincia a parlare di “montismo” come un tempo si parlava di “berlusconismo”. Il passaggio nel caso di Monti è stato più veloce. Non ci sono voluti alcuni anni, come per il suo predecessore, ma solo alcuni mesi. Meno di un anno perchè “il tecnico” aggiungesse al suo nome quell’ “ismo”, e che diventasse rappresentante e simbolo non solo di una proposta economica o di un campo politico ma di qualcosa che va a oltre: di una temperie culturale, di un cambiamento di clima sociale, di un sentimento o più sentimenti collettivi, di un fenomeno di costume.
Montismo dopo berlusconismo, quindi. Ma non è solo la differenza nel tempo di acquisizione di quell’ismo che salta subito agli occhi. Ce ne è anche un’altra. Il berlusconismo aveva creato in Italia immediatamente l’antiberlusconismo, fenomeno e uguale e contrario, un campo politico e culturale che odiava l’ex premier quanto il primo lo amava. Per quasi vent’anni i due schieramenti si sono scontrati su tutto mirando alla reciproca distruzione. Anche in questo caso non erano, o non erano solo, le proposte politiche nel mirino dell’uno o dell’altro schieramento, ma i comportamenti personali, i valori e i disvalori, le culture.
Il montismo non ha provocato finora la nascita di un campo antagonista che possa dichiarare con orgoglio, e magari protervia, il proprio “antimontismo”. Da parte di tutti gli schieramenti politici anche da quelli critici nei confronti del premier, si fanno distinguo, le critiche vengono precedute da premesse, il disaccordo sempre da qualche apprezzamento. Il montismo insomma non divide in due l’Italia, piuttosto la pervade e la impregna con focolai di disaccordo che faticano ad esprimersi, e un malcontento sociale che non si sente legittimato a pronunciarsi pienamente. E’ una sorta di sospensione, di addormentamento sociale e culturale.
All’inizio ha significato, innanzitutto, un forma di sollievo per un ritorno alla normalità della vita politica. Si è presentato come una fuoriuscita dall’anomalia del berlusconismo, fenomeno comunque sempre sopra le righe, sempre eccessivo anche nelle reazioni che provocava. E il sollievo ha preso quasi tutti, anche coloro che si sentivano, almeno quando Monti è entrato nella vita politica, profondamente berlusconiani. Si parlava finalmente di cose serie: spread e banche, lavoro e disoccupazione, spese e tagli. Si usavano parole come sobrietà ed equità. E la parola rigore assumeva un senso etico superiore, quasi una espiazione dagli eccessi del passato a cui ci si sottoponeva con la vergogna degli ex peccatori. I poveri hanno tirato la cinghia in silenzio, i ricchi hanno manifestato una sobrietà in altri tempi impensabile. Il paese si è adeguato. Ed ecco l’altra caratteristica del montismo: l’adeguamento. Sì, non c’era altro da fare che adattarsi, accettare, pensare che si deve fare quel che i tecnici propongono. Anche perché quell’adattamento era necessario e garantito dalla loro neutralità. Sono così sfumati i sogni di maggiore ricchezza, mentre quelli di maggiore giustizia non sono stati neppure tirati fuori dal cassetto. In realtà si è rinunciato ai sogni. Il montismo è anche questo: la negazione del sogno in nome della necessità e della sobrietà del presente. In nome di una realtà che non può che essere quella. Necessaria, inevitabile, come un fenomeno naturale.
Il montismo non fa miracoli (lo ripetono tutti i giorni i ministri del governo tecnico), non si lancia in ipotesi fantasiose. Nel montismo non è contemplata la creatività, il rischio. E persino la fiducia viene centellinata. Può essere un azzardo. Si ascoltano i nuovi mantra: “Ora è il momento della crescita”, “Stiamo uscendo dal tunnel”, “L’Europa ci guarda” con disinteresse e indifferenza. E magari si ripetono. Con quanta convinzione? Chissà. Probabilmente nessuna. Sono parole astratte e, nel montismo, l’astrazione non è vista di buon occhio. Come del resto la politica che è stata incapace e ora se non il disprezzo merita la disattenzione. Ecco il montismo è anche questo: indifferenza e disprezzo per la politica. Non per colpa di Monti, in questo caso, non per responsabilità solo sua. Sta di fatto che nel paese impregnato di montismo l’indifferenza è sicuramente maggiore che nel passato quando il berlusconismo accendeva i fuochi della contesa pro o contro il premier. Ed è un paese senza fuochi quello che accetterebbe anche un “montismo bis”.
da Gli Altri