di Antonello Patta* -
Dopo la Spagna, la Finlandia e la Nuova Zelanda anche in Giappone avanzano proposte per la riduzione dell’orario di lavoro. E oggi la proposta non arriva, come ci si potrebbe aspettare dai comunisti di quel paese, ma nientemeno che dal Presidente del Consiglio in carica, liberale convinto! le motivazioni addotte riguardano sia aspetti sociali, maggior tempo alle persone per la cura propria e dei figli, sia socio economici: il maggior tempo dedicato alla formazione oltre alla crescita dei singoli, sostenendo l’innovazione tornerebbe a vantaggio delle aziende e dell’economia.
Come Rifondazione sosteniamo da tempo che la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario è fondamentale per uscire dalla trappola che condanna milioni di persone, soprattutto giovani e donne alla disoccupazione mentre costringe chi lavora a orari estenuanti, e allunga il tempo di lavoro nell’arco della vita con feroci controriforme pensionistiche.
Esattamente l’opposto di quello che pensano e fanno Draghi e i partiti al governo che con sei milioni di disoccupati reali non propongono un piano per il lavoro e permettono alle aziende che ricevono vagonate di miliardi pubblici di licenziare puntando a riorganizzarsi sostituendo lavoratori stabili con lavoratori precari.
Al contrario di quanto sostenuto nel Recovery Plan, specialmente in Italia, il mercato e le imprese lasciati a se stessi non creano lavoro se non di bassa qualità sempre più precario, sfruttato e malpagato; tanto più in presenza di una rivoluzione tecnologica senza precedenti utilizzata da una parte per ridurre i posti di lavoro veri e propri, dall’altra, come insegna il capitalismo delle piattaforme, per trasformare il lavoro in prestazione anonima che invisibilizza e nega il lavoratore e i suoi diritti.
Per uscire da questa situazione restituendo valore al lavoro e dignità ai lavoratori l’unica strada è un grande piano nazionale per l’occupazione centrato sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario da attuarsi nella riconversione ambientale dell’economia guidata dal pubblico potenziato nelle strutture e irrobustito da almeno un milione di nuovi dipendenti.
Parliamo di un’altra idea di paese, di un nuovo modello economico e sociale che questo governo non ha e che per affermarsi richiede una nuova grande stagione di lotte unitaria che deve essere l’impegno prioritario di ogni sinistra degna di questo nome.
*Resp Lavoro, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea