di Roberto Greco

Sono così tanti da formare un piccolo esercito: dapprima 6.500 persone, poi ridotte a 2.760 grazie alle risorse incluse nell’emendamento al decreto milleproproghe. Parliamo degli ‘esodati’ di Poste Italiane, che sono rimasti senza lavoro e senza pensione per un periodo che va, in media, da tre a sei anni (con punte che arrivano fino a otto-nove). Anche loro stanno protestando a oltranza, come del resto tutti gli altri lavoratori

nelle medesime condizioni, davanti alle sedi istituzionali del paese, per reclamare i propri sacrosanti diritti. Per l’occasione hanno attivato anche un blog e la loro protesta sul web sta avendo tanto successo che hanno iniziato a utilizzare la comunicazione online per chiedere notizie e informazioni gli esodati di altre aziende, creando così una rete dove raccontare le loro storie, individuali e collettive, e darsi forza e solidarietà a vicenda.

“Viviamo una situazione drammatica – ci racconta uno dei lavoratori postali interessati, Emilio De Martino –, che si sta aggravando sempre di più, perché soprattutto chi è monoreddito ha finito i soldi e non sa più cosa fare per campare”. A quel punto non rimane che la disperazione, che può portare a gesti inconsulti, come qualcuno ha già minacciato di fare. “Pur di attirare l’attenzione – rivela De Martino –, c’è chi pensa di incatenarsi a oltranza davanti a Montecitorio. Ogni giorno che passa è peggio, specialmente se hai la famiglia a carico, con moglie e due ragazzi, come nel mio caso”.

La vicenda di Emilio è paradossale e nel contempo emblematica di quanto sta accadendo: ha quasi 60 anni, e ne ha passati 38 presso un ufficio postale a Colleferro, in provincia di Roma, dove ricopriva un ruolo apicale nell’area del recapito. Lo scorso novembre ha raggiunto un accordo con l’azienda per andarsene in pensione anticipatamente, beneficiando di due anni di esodo incentivato nel quadro del piano di riorganizzazione avviato nel 2010 da Poste Italiane, che ha già mandato a riposo 8.250 addetti.

Una politica, quella dell’azienda, di cui tutti erano a conoscenza, a cominciare dal governo, perché il presidente Ialongo ne aveva data ampia spiegazione in un’apposita audizione in Parlamento. “Morale della favola – prosegue De Martino –, dal 1° gennaio 2014 avrei dovuto prendere la pensione, ma con la riforma Fornero e la successiva circolare 35 dell’Inps, attuativa del decreto Salva Italia, è cambiato tutto”.

Stando alle norme varate, infatti, Emilio dovrà ora aspettare fino al luglio 2017 per poter ricevere l’agognato assegno previdenziale, quando cioè avrà raggiunto i necessari 65 anni e 7 mesi di età, frutto, questi ultimi, del meccanismo di aggancio alle aspettative di vita che porta all’innalzamento delle soglie di vecchiaia, decise sempre dalla nuova riforma delle pensioni. “Una tragedia – commenta sconsolato il dirigente postale –. In pratica, per tre anni e sette mesi sono senza copertura economica e non so davvero come fare”.

Da subito i sindacati si sono mobilitati in difesa degli esodati con una serie di iniziative, culminate con la manifestazione nazionale del 13 aprile scorso. Adesso, dopo il decreto del governo che ha confermato la tutela solo per 65.000 persone lasciandone fuori la maggior parte, e ipotizzando per gli esclusi “soluzioni eque e finanziariamente sostenibili”, la protesta è più viva che mai.

A gran voce si chiede un provvedimento che ponga fine all’incredibile condizione di questi lavoratori. L’Slc Cgil, in particolare, chiede che siano applicate le vecchie regole pensionistiche a tutti quei ‘postali’ che hanno sottoscritto, entro il 31 dicembre 2011, accordi individuali per la fuoriuscita anticipata dal lavoro. “Le promesse del governo – conclude De Martino – non ci bastano più: si trovino al più presto i fondi per la copertura pensionistica di tutti; e l’Inps certifichi i nostri diritti, mettendo in piedi un osservatorio ad hoc per monitorare le criticità e facilitare la soluzione del problema. A questo punto è una questione di giustizia”.

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