di Mauro Ravarino

La svendita dei beni del comune di Torino sembra non fermarsi nemmeno di fronte alla sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 4 della finanziaria-bis del 2011 sulla privatizzazione dei servizi pubblici da parte degli enti locali.
Ieri il consiglio comunale doveva votare la messa a gara di Amiat e Trm, società partecipate dal comune che si occupano di igiene urbana, raccolta e smaltimento dei rifiuti. La decisione è stata rimandata a mercoledì, ma non tanto per un ripensamento della giunta guidata da Piero Fassino, quanto per l'ostruzionismo del Movimento Cinque Stelle.


La vendita delle quote è stata ormai decisa e la strada della "privatizzazione" dei servizi (asili nido, l'azienda trasporti Gtt e la società aeroportuale Sagat) è un leitmotiv a cui i torinesi non vorrebbero abituarsi. Michele Curto, capogruppo di Sinistra e libertà, dopo la seduta di ieri spiega: «Non voteremo la delibera così com'è, avevamo chiesto di salvaguardare il controllo pubblico sull'inceneritore (Trm), e di ridurre le quote messe sul mercato dall'80 al 49%, non ci è stato dato ascolto. Se la delibera non cambia, ci asterremo».
Fuori da Palazzo Civico, accanto ai disoccupati e precari in costante protesta sotto le finestre della Sala Rossa, si sono ritrovati in presidio pezzi della sinistra, del sindacato e i firmatari dell'appello «per la moratoria della messa a gara di Amiat e Trm», sostenuto da Ugo Mattei, Luciano Gallino, Livio Pepino, Giorgio Airaudo, Alessandra Algostino, Marco Revelli, Elisabetta Grande, Michele Curto, Ezio Locatelli, Alessandra Quarta, Federico Bellono (segretario Fiom), Officine Corsare, Alba, Prc, Adesso Ecologia. «Non si può procedere - scrivono - ignorando quanto deciso dalla Consulta, la materia dei servizi pubblici locali ha bisogno come mai in questa fase di un ripensamento che tenga anche conto della disciplina comunitaria che, dopo la declaratoria di illegittimità della Corte Costituzionale, trova diretta applicazione. Per questo, chiediamo al consiglio comunale che sia istituito presto un tavolo tecnico che faccia il punto sulla disciplina dei servizi pubblici locali, presso cui avviare un dibattito sui modelli di gestione».
Ugo Mattei, giurista tra gli estensori dei referendum sull'acqua, afferma: «Fassino dica che la sua è una scelta politica. Prima sosteneva di vendere i beni per obblighi di legge, ora lo fa per la finanza. In realtà, la logica non cambia, rimane sempre quella di svendere tutto, nonostante l'asta per le quote Sagat sia stata deserta».
In piazza ieri anche Alessandra Quarta, giovane giurista che ha collaborato al ricorso della Regione Puglia: «Dopo la sentenza della Corte manca un presupposto disciplinare per decidere la messa a gara. E non regge la libera interpretazione di Fassino che sostiene che la decisione valga per l'acqua e non per gli altri servizi». Per lo storico Marco Revelli «la decisione della Consulta non dà più possibilità di nascondersi alla giunta Fassino, si assuma la scelta politica».
Fuori dal comune, pure Federico Bellono con la sua Fiom che non molla la difesa dei beni comuni. Secondo Giorgio Airaudo, segretario nazionale delle tute blu, «il sindaco non è stato eletto per liquidare i beni pubblici ma per mantenerli, di questo passo vorrà anche liquidare il comune?».
Al presidio ha partecipato Ezio Locatelli, segretario torinese di Rifondazione comunista, che invita Sinistra e libertà e Italia dei valori a uscire dalla maggioranza: «Non è più possibile sostenerla visto che attua politiche di privatizzazione che sono in rotta di collisione con lo spirito del voto referendario di 27 milioni di italiani».

 

il manifesto (24 luglio 2012)

 

 

 

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