di Carlo Petrini
Il malvezzo della politica italiana di aggirare i responsi dei referendum popolari complice il passar del tempo, l’immobilismo e qualche decreto legge, ieri ha subito una sonora lezione. Grazie a una sentenza della Corte costituzionale. Dichiarando inammissibile l’articolo 4 del decreto legge 138 del 13 agosto 2011, la Corte esplicita chiaramente il vincolo referendario che vieta la privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali.
Dinanzi a quel decreto legge voluto dal governo Berlusconi per aggirare il voto di milioni di italiani, bene ha fatto la Regione Puglia a ricorrere alla Consulta.
Tuttavia, questa sentenza non deve solo suscitare la gioia per chi ha a cuore la democrazia e la tutela dei beni comuni, ma dove spronare tutti nel costruire nuove idee e nuove pratiche per la gestione di questi beni. Qui iniziano le difficoltà, e la sfida di saperle affrontare con saggezza e pragmatismo è il terreno fertile di una nuova politica.
Non è sufficiente denunciare la sistematica aggressione dei beni comuni, occorre sostenere esempi nuovi di gestione di quei patrimoni pubblici. In fondo, la natura di questa crisi che col passare del tempo diventa sempre più drammatica, dovrebbe spronarci a cercare nuove soluzioni. Mettere a valore e in sicurezza i beni comuni di questo straordinario Paese dovrebbe essere il primo obiettivo della politica.
Dopo la battaglia per l’acqua come bene comune sta crescendo in tutta Italia l’esigenza di tutelare il paesaggio e i suoli agricoli contro un consumo del territorio selvaggio e incivile, complici molti enti locali costretti a far cassa su queste pratiche. Ben vengano i referendum se i partiti dormono, ben vengano le sentenze della Consulta si i governi disattendono il volere popolare. Ma, attenzione, se non prende corpo la coscienza che difendere e tutelare questi beni è economia sana e può generare sviluppo, le giuste battaglie rischiano di perdere buona parte del loro valore. Se penso a questa nostra Italia ai suoi paesaggi, al suo patrimonio di vestigia storiche, al fascino che suscita tra gli stranieri, credo che siamo esattamente sopra a una ricchezza incredibile, un possibile motivo di riscatto economico, ambientale e culturale, una prospettiva reale e affascinante.
Questo Paese con le sue campagne e le sue coste, con la loro bellezza e la possibilità di creare cose buone e vite migliori è il luogo dove ri-apprendere certi ritmi, certi paradigmi, saperi che non possono dissolversi, perché ci fanno interagire con la natura come parte di essa e non come dominatori sfruttatori. Non è il bel mondo antico, o la tradizione fintamente rappresentata ma morta: è economia nuova, produzione, cultura, l’unica crescita ancora possibile.
La Repubblica 21.07.12