di Nicola Nicolosi

Come può pensare questo Parlamento di cambiare la Costituzione della Repubblica, a meno di un anno dalla scadenza della legislatura e con i risultati delle ultime elezioni amministrative sotto gli occhi di tutti? Eppure in Senato è stato presentato un testo di riforma costituzionale accompagnato da ben 250 emendamenti. Addirittura si pensava di iniziare subito le votazioni, fatto che per fortuna non si è ancora verificato.

Comunque sia il progetto presentato da ABC - Alfano, Bersani, Casini - arriverà in porto. Un vero e proprio stravolgimento del dettato costituzionale con maggiori poteri a favore del governo e quindi del presidente del Consiglio a discapito dell'intero Parlamento. Il procedimento avviato ricorda molto da vicino quanto accaduto in tema di pareggio di bilancio: impossibile dimenticare come il cambiamento dell'articolo 81 sia avvenuto senza la benché minima consultazione delle parti sociali e dell'intero paese.
Non da oggi le modifiche alla Costituzione vengono apportate con scarsissimo dibattito, nonostante la delicatezza del tema. Stiamo parlando di una violenza inferta alla Carta fondamentale del paese in uno dei suoi pilastri fondativi: la rappresentanza. I cittadini non vengono adeguatamente informati, né dalle forze politiche presenti in Parlamento né dai mezzi di comunicazione. Ma questo modo di procedere rappresenta una ferita, profonda, al patto che deve sempre sussistere fra rappresentanti e rappresentati, eletti ed elettori, politici e cittadini. Viene meno quel collante che dal secondo dopoguerra, dalla nascita della Repubblica, ha saldato la società italiana. Nel ventennio che va dal 1992 al 2012 è accaduto qualcosa che ha del paradossale. A fronte della crisi della politica, della debolezza delle istituzioni democratiche e parlamentari, non si è trovato niente di meglio che manomettere la Carta costituzionale. La Costituzione è stata cambiata, in questo arco di tempo, per ben 15 volte; nell'ultimo caso si trattava della cosiddetta devolution.
Lo scenario che si presenta davanti ai nostri occhi è gravido di rischi. Si indeboliscono le difese delle istituzioni repubblicane, rafforzando ancor più quel vento dell'antipolitica che mai come negli ultimi tempi torna a soffiare sulle ali della crisi. Questi cambiamenti della Carta costituzionale avvengono proprio nel momento in cui, e non è un caso, la crisi di rappresentanza che investe il Parlamento e le istituzioni in generale, è più forte e pericolosa. La riforma in esame in questi giorni al Senato non è allarmante nella parte che riduce il numero dei parlamentari, ma soprattutto per la perdita di rappresentanza delle due Camere a tutto vantaggio dell'esecutivo e in particolare del presidente del Consiglio.
Il governo Monti è un esecutivo di tecnici e supertecnici chiamati ad affrontare una gravissima emergenza economica. Le forze politiche che lo sostengono si concentrano nel cambiamento di quella Costituzione che invece dovrebbero, in un periodo di debolezza endemica del sistema stesso, difendere e tutelare. La crisi in atto finisce per fornire un alibi a manovre parlamentari che solcano ancor più la distanza tra la politica ed i cittadini. La difesa della democrazia non si fa togliendo potere al Parlamento. Eppure la riforma in cantiere porterebbe ad una subdola forma, inaccettabile, di "semipresidenzialismo". Con l'ipotesi di affidare al presidente del Consiglio il potere di sciogliere le Camere, non più il primo dei ministri dunque, ma una sorta di presidente ombra, con poteri che lo avvicinerebbero a quelli in vigore negli stati presidenziali.
Neanche negli Stati Uniti d'America, una nazione federale, il presidente può scogliere le camere dei rappresentanti, pur avendo nell'esercizio quotidiano delle sue mansioni un potere ancora maggiore. Non va dimenticato che la carta costituzionale degli Stati uniti d'America, vecchia di oltre due secoli, non è mai stata messa in discussione dagli attori del sistema politico. Se, da come sembra vista l'ampia maggioranza, la riforma verrà approvata dai due terzi del parlamento, questa non passerà neanche il vaglio di un referendum popolare, così come è già purtroppo avvenuto con l'introduzione in Costituzione del principio sul pareggio di bilancio. Insomma, mentre il movimento sindacale è impegnato ad arginare l'attacco al mondo del lavoro e ai diritti dei lavoratori, in particolare sul terreno dell'articolo 18 e dei licenziamenti senza giusta causa, i partiti in Parlamento stravolgono la Costituzione. Sembra incredibile ma è così.

 

il manifesto 2 giugno 2012

 

 

 

 

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