di Giuseppe Grosso

Mai così male: secondo i dati diffusi ieri dall'Agenzia nazionale di statistica, la Spagna ha toccato nel trimestre in corso il record storico di disoccupazione. Quasi un quarto della popolazione attiva (il 24,6 %) non ha lavoro: 0,5 punti in più rispetto al precedente picco negativo, registrato nel 1994, e quasi un milione di posti di lavoro bruciati rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Tutto questo a pochi mesi dall'ultima riforma del lavoro targata Partido Popular, che, alla prova dei fatti, disattende in maniera eclatante l'obiettivo dichiarato di voler risollevare il mercato del lavoro.


Il dato sulla disoccupazione, emerso dal trimestrale studio sulla popolazione attiva, fotografa impietosamente uno degli effetti più devastanti di questa crisi e risulta ancora più drammatico tra i giovani: il 52% degli under 30 non ha un impiego. A gettare un'ombra persino più cupa sulla situazione, vi è poi il fatto che la notizia giunge nel pieno della stagione estiva, durante la quale l'occupazione tende a crescere. Ciò significa che la crisi morde anche nel turismo, uno dei settori tradizionalmente forti dell'economia spagnola.
Con beffardo tempismo, i dati sull'impiego vengono resi noti solo due settimane dopo l'approvazione dei tagli al sussidio di disoccupazione voluti dal governo conservatore di Mariano Rajoy. Dal 13 luglio scorso, infatti, l'assegno per chi è senza lavoro è stato ribassato del 10% a partire dal settimo mese di disoccupazione: una delle misure più odiose dell'ultimo dei pacchetti di provvedimenti varati nel nome dell'austerità, accolto dalle proteste dei sindacati e delle opposizioni.
E proprio Comisiones Obreras, il maggiore sindacato del Paese definisce «pessimi» i numeri resi noti ieri, puntando il dito sulle responsabilità del governo: «Esigiamo un cambio radicale di questa politica. Bisogna adottare altre misure che non siano tagli ed evitare di gettare il peso della crisi sui lavoratori dipendenti e i disoccupati», ha dichiarato Paloma López, della segreteria del sindacato.
Sulla stessa linea, le reazioni dell'opposizione, che insiste sull'inadeguatezza della riforma del lavoro del Partido Popular, facendo esplicito riferimento alla contestatissima misura che ha facilitato il licenziamento, rendendolo molto meno oneroso (sia dal punto di vista economico, che da quello burocratico) per i datori di lavoro: «È la conferma che questa riforma del lavoro che abbassa il costo del licenziamento, sommata alla recessione, non fa che creare più disoccupati con meno diritti», ha affermato Oscar López, dirigente del Psoe.
Già al tempo dello studio della riforma, in realtà, il governo era stato messo in guardia - sia dagli esperti, che dalle stesse opposizioni - sulla pericolosità, in un periodo di stasi del mercato del lavoro, di un provvedimento che rendesse più facile il licenziamento; il premier Rajoy, però, fece orecchie da mercante, con i disastrosi risultati che da ieri sono sotto gli occhi di tutto il Paese.
Uno scoglio, questo della disoccupazione, su cui l'esecutivo sa di giocarsi molto e sul quale sta cercando di non incagliarsi, ripetendo con paranoica e surreale insistenza (e risultati sempre meno convincenti) il mantra dell'eredità lasciata dal precedente governo del Psoe.
Anche in Europa c'è preoccupazione per la situazione del Paese iberico, giacché l'elevato tasso di disoccupazione spagnolo inquina anche il dato continentale, salito all'11%, secondo gli ultimi dati diffusi da Eurostat. Dallo studio emerge che il Paese più in salute è la Germania; al capo opposto della classifica, ovviamente, c'è la Spagna.

 

il manifesto 28 luglio 2012

 

 

 

 

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