di Sara Nicoli

Alla fine, la chiave di lettura di quello che era sembrato a tutti uno scatto in avanti di Nichi Vendola per conquistare un posto in paradiso (di governo) nella prossima legislatura, accanto al Pd e a costo di sacrificare anche una fetta del suo elettorato, l’ha data un vecchio democristiano come Beppe Fioroni: è “il grande centro” il nuovo che avanza. Si rassegni chi, anche solo per qualche minuto, ha sperato di vedere una sinistra vera e solida al timone dell’Italia post montiana. Il “dopo”, quell’area “riformista” di cui tutti sembrano pronti a issare la bandiera, sarà una riedizione di un già visto, qualcosa di simile all’Unione che, però, già viene salutata come sinonimo di grande rinnovamento. E Nichi Vendola ci sarà.

Il primo a cantare le lodi di questo “rinnovamento che avanza” non poteva che essere il sindaco di Milano, Pisapia, in qualche modo antesignano simbolo di questa svolta possibile: “E’ assolutamente necessario che alle prossime elezioni politiche il centrosinistra offra una proposta di governo – ha detto Pisapia – che concili l’indispensabile ripresa economica con lo sviluppo dei diritti sociali e civili“. Vendola, dunque, che si allea con il Pd. E che si fa dare il benvenuto dal cattolico Fioroni, anello di congiunzione prossimo tra i democratici e l’altra alleanza, quella con i cattolici dell’Udc, che per il Pd vorrà dire, soprattutto, non spaccarsi.

Sui voti persi in prospettiva qualcuno farà i conti, prima o poi, al Nazareno, ma pare proprio che l’imperativo, ora, sia costruire un’area di centrosinistra “pulita” e “moderata”, che possa rappresentare un’alternativa credibile al dopo Monti. O, comunque, l’asse portante di una grande coalizione che non spaventi i mercati ma che, anzi, dia il senso di continuità di governo in un Paese deciso a fare le riforme che servono. “Il percorso per la realizzazione di un’area riformista che superi i difetti e i limiti di quell’estremismo di sinistra – ecco la “chiave” di Fioroni, subito dopo l’ufficializzazione del “matrimonio” tra Pd e Sel – e’ un risultato positivo”.

Addio Di Pietro, dunque. Anche se Vendola non lo ha mandato bruscamente alla deriva (Bersani è stato più sbrigativo: “Di Pietro ha scelto un’altra strada”), pur inviando un messaggio molto chiaro: “Se Di Pietro è in continuità un soggetto prevalentemente dedito alla polemica, questo è un problema”. “Considero criticabile l’assedio polemico nei confronti del Quirinale – ha puntualizzato ancora Vendola – per una ragione che ha a che fare con la storia di questo Paese e con il fatto che una delle caratteristiche del berlusconismo e’ stato proprio il tentativo permanente di delegittimare le autorità di garanzia. Prendere a calci negli stinchi l’arbitro è stata un’attività tipica dei berluscones; gli dico basta con questo stillicidio, senza che nessuno rinunci alle proprie posizioni”. Un ultimo avviso, mandato forse già fuori tempo massimo. E chissà se solo per fare bella figura.

Certo, sarà dura – soprattutto per gli elettori di Sel – vedere Nichi con Rocco Buttiglione e Paola Binetti in una ideale (e prossima?) foto di famiglia di governo o di maggioranza, ma l’occasione è davvero di quelle da non perdere. L’unica mossa che farà il leader di Sel per dimostrare al suo elettorato di essere deciso a vedersela ad armi pari con Bersani, sarà di presentarsi alle primarie. Non teme Renzi, dice. Ma le primarie sono sempre un terreno scivoloso e già in quelle urne il suo elettorato potrebbe mandargli qualche segnale inequivocabile. E non solo per lui, forse anche per Bersani. Si vedrà.

Il vero nodo che potrà saldare definitivamente questa alleanza, tuttavia, non è ancora stato sciolto; nessuno sa con quale legge elettorale si andrà a votare. Ieri, al Senato, è stato fatto un timido passo avanti verso un accordo, ma anche in questo caso si tratta più di forma che di sostanza. Si parla di raggiungere un’intesa su un metodo proporzionale, due terzi dei parlamentari scelti dagli elettori, un terzo con i listini, 26 circoscrizioni più la Valle d’Aosta, lo sbarramento al 5 per cento e il premio di governabilità. Poi, però, manca l’intesa sulla “spina dorsale” della possibile nuova legge. Se cioè, puntare sulle preferenze o sui collegi uninominali, se dare un premio al partito che vince o alla coalizione. E anche che tipo di premio dare.

Nel merito, insomma, c’è ancora molto, moltissimo da discutere. E la legge elettorale sarà, senz’altro, il piatto politico bollente del prossimo autunno. Insieme alle primarie del centrosinistra. Dove, qualcuno scommette che per qualcuno, a cominciare proprio da Vendola, ci potranno essere sorprese molto amare.

 

ilfattoquotidiano.it

 

 

 

 

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