di Roberto Gramiccia

Leggendo in questi giorni sulla stampa le notizie relative al decreto del ministro Balduzzi sulla Sanità, si capiscono due cose almeno. La prima è la conferma (qualora ce ne fosse bisogno) che i cosiddetti tecnici del governo non sono tecnici per niente ma arruffoni e casinisti (questio-esodati docet). La seconda è che i tanti e prestigiosi quotidiani borghesi che hanno a libro paga giornalisti qualificati su ogni materia, evidentemente, difettano di esperti in sanità. Eppure non si tratta di una questione per così dire secondaria. Non si spiega, altrimenti, il se pur prudente credito che ha ottenuto sulla stampa una serie di misure che non si sa se definire più comiche o più velleitarie.

A parte le riserve del Senatore Marino e la sonora bocciatura della CGIL (almeno lei), infatti, il decreto Balduzzi sembra ritrovare all’interno del governo, più che all’esterno, difficoltà a decollare.
Vediamo allora quali sono le più macroscopiche e velleitarie incongruenze  di questo decreto, dando per acquisito che la sua confezione si è realizzata (come al solito) nelle segrete stanze della intellighenzia (si fa per dire) governativa, in assenza di qualsiasi confronto con sindacati e associazioni del settore. Tanto per cominciare, la natura grottesca dell’ ambizioso provvedimento è sigillata nella pretesa di finanziare il fondo per la non autosufficienza con le bollicine della Coca Cola tassate alla bisogna, che è un po’ una barzelletta, se non fosse che la condizione della fragilità senile e dei portatori di handicap rappresenta una questione su cui non è lecito scherzare. Ma allora perché non tassare le salsicce o il lardo di Colonnata o la Nutella, il cui contenuto in grassi saturi e zuccheri è ben più patogeno di qualsiasi bollicina. Lasciamo perdere il resto … alcolici, tabacco e gioco d’azzardo. Problemi seri. A fronte dei quali ben altre dovrebbero essere le misure e il livello della riflessione. Nel caso di specie si tratta del solito trucchetto per far cassa, cercando di dare l’impressione che ci si occupi della salute pubblica, dopo aver tagliato più di 20 miliardi di euro alla Sanità per i prossimi tre anni (sono queste le cose che contano, non le bollicine).
C’è poi il capitolo degli studi associati dei medici di base, spacciato come rivoluzione della sanità territoriale, in grado di risolvere il problema della congestione degli ospedali. Ora, a parte il fatto che evidentemente i tecnici hanno dimenticato che il fulcro della sanità territoriale è il distretto sanitario, di cui nessuno parla mai, entro il quale l’attività dei medici di famiglia si svolge. E che questi distretti sono stati letteralmente messi inginocchio dai piani di rientro in molte regioni (poliambulatori specialistici fatti a pezzi dall’azzeramento del turnover, assoluta inadeguatezza del personale medico della disciplina organizzazione servizi sanitari di base, di quello  ispettivo dei Dipartimenti di prevenzione e dei consultori materno infantili, inadeguatezza logistica e carenze gravissime in termini di tecnologia diagnostica sanitaria disponibile ecc. ecc). A parte il fatto che il rilancio dell’attività, sicuramente decisiva, dei medici di medicina generale non si pone nemmeno al di fuori di una più generale rifondazione della medicina del territorio e quindi del distretto nelle sue numerosissime linee di produzione (evidentemente ignorate dai tecnici). A parte il fatto che un direttore di distretto, almeno uno, i supertecnici lo potevano sentire prima di partorire questo mostriciattolo. A parte tutto questo, noi  domandiamo, anche volendo volare basso ma proprio basso, vi pare possibile ipotizzare un’aggregazione di quindici o venti medici dentro stabili inesistenti, coordinati fra loro, integrati da personale infermieristico e con la disponibilità di attrezzatura diagnostica, in attività h 24, nel giro di poco tempo?
 A leggere La Repubblica di ieri, c’era da immaginare che, di qui a due mesi, il nostro medico di base lo avremmo trovato dentro un “palazzetto della sanità” neo costruito, completamente occupato da altri medici operosi e disponibili giorno e notte. Ma chi la paga tutta questa roba, se non abbiamo neanche i soldi per sostituire gli specialisti che lasciano i poliambulatori specialistici pubblici per motivi di età. E poi, a parte gli studi associati che già esistono, come si convinceranno i medici ancora numerosissimi che lavorano in studi singoli, spesso di proprietà, a trasferirsi non si sa dove? E chi dirigerà questa rivoluzione copernicana? Come si farà poi a coprire l’intero arco delle 24 ore, con quali garanzie finanziarie, con quali gerarchie, visto che i medici di medicina generale non sono dei dipendenti come quelli ospedalieri. Insomma: pura, purissima demagogia e tanta, veramente tanta incompetenza. Sì, perche a brevissima scadenza si capirà che tutto questo non si può fare e resteranno le tasse, solo le tasse e i tagli.
Quello che si potrà fare, come previsto dal decreto, e che verrà fatto certamente, è aumentare lo spazio per l’iniziativa privata negli ospedali entro i quali, i privati, cofinanziando le ristrutturazioni necessarie, potranno inserire i loro cunei affaristico speculativi, sostituendosi progressivamente al pubblico. Per chi non lo sapesse, nel corso degli ultimi dieci anni gli affari delle cliniche private sono incrementati del 25,5 % (dati Censis).
Ci sono poi le misure sull’intramoenia e sulla designazione dei direttori generali.
Nel primo caso: nulla di nuovo sotto il sole. Intatta resterà la possibilità di speculare sulla lunghezza delle liste di attesa per favorire soluzione “privatistiche” mascherate, proprio da parte di coloro che le liste di attesa dovrebbero contribuire ad accorciarle. I collegamenti informatici fra strutture private dove si svolgerà l’intramoenia e ospedali non modificheranno questa realtà di fondo.
 Fumo negli occhi sulle nomine dei direttori generali, la cui designazione resterebbe politica, in assenza di quel registro nazionale tutt’ora mancante  né previsto entro il quale, dopo la democratica individuazione di criteri e titoli certi, dovrebbero essere scelti per merito quei direttori generali  i quali, fino ad oggi, hanno mostrato (tranne rare eccezioni) tutta la propria soggezione ai diktat dei governatori e degli assessori alla sanità regionale.
Ad essere riformato dovrebbe essere il decreto 229 del ‘99, ad essere smontato e sostituito lo spirito e la pratica dell’aziendalizzazione della sanità, che ha trasformato la salute in merce, dando per scontato che non possa esservi efficienza al di fuori di una logica di mercato neoliberista.
Cari ministri tecnici, l’esperienza ha dimostrato che l’aziendalizzazione ha fallito proprio laddove si proponeva di intervenire: il risanamento dei bilanci. Ma non sarà con questo decalogo semiserio che si uscirà dal guado. Per quanto ci riguarda: vigilanza e controinformazione! Senza scoraggiarci. Ricordiamoci di Davide e Golia. Anche perché alla salute ci tengono  tutti e molti potrebbero schierarsi con noi, contro Golia.

 

 

 

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