di Gian Marco Pisa

Molto bistrattato dalla propaganda “tutta occidentale” di un certo circuito informativo nel quale siamo immersi, eppure importante, per la sua storia e per quello che può rappresentare ancor oggi nella “bilancia del potere” tra i vari Stati e Comunità di Stati all'interno della “Comunità Internazionale”, il Movimento dei Non Allineati è tornato di recente a fare sentire la propria voce.
Costituito formalmente nel 1961, ma lanciato idealmente con la celebre Conferenza di Bandung (Indonesia) del 1955, il Movimento dei Paesi Non Allineati rappresenta ancora oggi un'aggregazione multi-statuale e policentrica del tutto originale nel panorama mondiale.

Pensiamo, per inquadrare i termini della questione, alle “organizzazioni di prossimità” che disciplinano e condizionano la politica interna e internazionale del nostro Paese, l'Unione Europea e l'Alleanza Atlantica.
Il processo costituente dell'Unità Europea dura più di cinquant'anni, a far data dai Trattati di Roma del 1957 (che istituirono la Comunità Economica Europea) al Trattato di Lisbona del 2007 (versione consolidata: 358 articoli, 200 pagine)? Al contrario, il Movimento dei Non Allineati mantiene una struttura aperta e non si dedica a «costituzionalizzazioni» che vadano oltre dichiarazioni di orientamento, comunque sufficienti a stabilirne i principi ispiratori e i margini di iniziativa.

L'Alleanza Atlantica definisce in modo sempre più articolato e perentorio i termini della propria struttura e della propria organizzazione, fino a includere vere e proprie strutture secondarie (a partire dal noto programma PfP: Partnership for Peace), atte ad estendere i termini del comando e del controllo atlantico anche al di fuori dei confini del proprio tradizionale bacino di influenza? Viceversa, il Movimento dei Non Allineati non si è mai costituito in una organizzazione formale e rinnova i suoi statuti e i suoi orientamenti attraverso un sistema a turno di conferenze periodiche.

L'ultima delle quali è destinata a passare alla storia, al pari forse della Conferenza di Lusaka del 1970: questa volta, a poco più di cinquant'anni dalla prima conferenza tenuta a Belgrado su iniziativa di Tito e su impulso, alla pari di Tito, almeno anche di Nehru e di Nasser, la conferenza si è tenuta infatti a Teheran, si è svolta alla presenza di delegazioni provenienti da tutti i 120 Stati che costituiscono il Movimento e vi ha partecipato anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, oltre a trentaquattro capi di Stato e di Governo e varie delegazioni istituzionali di alto profilo.

In effetti, questa stessa è una “notizia nella notizia”: nella conferenza che segna il passaggio di consegne alla Presidenza, tra l'uscente Egitto, di Mohamed Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, e l'entrante Iran sciita di Mahmoud Ahmadinejad, la presenza stessa (e le parole) del Segretario Generale, sullo sfondo degli sconvolgimenti che stanno scuotendo il panorama internazionale, tra venti di guerra contro l'Iran e un vero e proprio conflitto per procura in corso sul suolo siriano, ha costituito un passaggio di rilievo, sia dal punto di vista politico, sia sotto il profilo diplomatico.

Basti considerare che, nella sua dichiarazione, il Segretario Generale ha definito l'Iran un “attore cruciale” nella risoluzione della controversia siriana, ha ricordato che embarghi e “sanzioni unilaterali” contro Stati sovrani rappresentano altrettante violazioni del diritto e della giustizia internazionali e ha delineato il ruolo delle Nazioni Unite a tutela della pace e della sicurezza internazionali. Arduo, certamente, considerare tali dichiarazioni come l'annuncio, pur auspicabile, di un “cambio di rotta” nella linea, finora molto accondiscendente verso gli USA, di questo Segretariato Generale: eppure, tuttavia, qualcosa in più di semplici dichiarazioni di rito o di circostanza.

È questo, forse, uno dei tratti meglio caratterizzanti il lavoro profuso da questa recente (si è conclusa lo scorso 30 Agosto) sedicesima conferenza dei Paesi non-allineati, il cui documento finale, in linea con i principi ispiratori e il ben noto «spirito di Bandung» (rispetto dell'integrità e sovranità territoriale, non-aggressione, non-ingerenza negli affari interni, coesistenza pacifica e mutuo beneficio), ha inteso delineare una “road-map” per le sfide aperte di fronte a noi:

1.    una rinnovata cooperazione internazionale per rispondere alle sfide della pace e della sicurezza, della protezione ambientale, del cambiamento climatico, delle migrazioni e delle grandi epidemie,
2.    l'esigenza di rinnovare il processo decisionale internazionale, incapace com'è, oggi, di rispondere alle sfide della pace e della sicurezza mondiale (a partire dalla riforma del Consiglio di Sicurezza),
3.    il rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite come attore globale di coordinamento delle attività degli Stati e delle Organizzazioni Internazionali sulle questioni-chiave di interesse generale,
4.    la soluzione, necessaria e improcrastinabile, del conflitto palestinese, basato sulla fine dell'occupazione israeliana, il rispetto dei diritti inalienabili del popolo palestinese e uno Stato per la Palestina,
5.    l'esigenza di intraprendere misure adeguate per contrastare il razzismo, la xenofobia, l'islamofobia, ogni forma di discriminazione e di vecchia e nuova schiavitù e il traffico degli esseri umani,
6.    il rispetto del diritto internazionale e l'invito a non “usare” il Trattato di non-proliferazione nucleare come pretesto per azioni unilaterali o per legittimare gli arsenali nucleari delle grandi potenze,
7.    e, unitamente alla condanna delle sanzioni degli USA contro la Siria, un appello alle parti coinvolte nella crisi siriana perché ne facilitino la soluzione negoziale e la missione di pace dell'ONU.

L'Iran conserverà la Presidenza di turno del Movimento sino al 2015. La prossima conferenza sarà in Venezuela, anche questa prevista nel 2015. C'è da augurarsi sia di buon auspicio, e che la road-map di Teheran viva nella diplomazia ufficiale e “non ufficiale” come una traccia di lavoro efficace per la pace nel mondo. A partire dall'esigenza di rapporti equi, basati sul diritto e sulla giustizia. A partire dal Medio Oriente.

 

 

 

 

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