di Stefano Ciccone

L'assemblea nazionale di Sinistra ecologia libertà convocata per oggi a Roma deve misurarsi con un cambiamento profondo nello scenario politico e con la necessità di confrontarsi alla radice con le ragioni della sua nascita. Si tratta di una discussione che ha però un interesse più generale.
Il sollievo con cui abbiamo salutato la caduta di Berlusconi è ormai un ricordo lontano. Con l'insediamento di Monti e il dispiegamento delle sue politiche si è aperta una fase che ha mutato lo scenario. La politica è esautorata dalle richieste dei mercati e dalle disposizioni europee. L'ultima scadenza elettorale ha visto la crisi dei partiti tradizionali e la crescita delle 5 stelle e dell'astensionismo. Le forze politiche sono percepite come prigioniere di diktat esterni e corpi separati tesi all'autoconservazione. La crisi dei partiti e della rappresentanza ha due spinte: una tecnocratica e l'altra populista.

Anche la crescita di differenti iniziative a sinistra, alcune promosse da esperienze sindacali avanzate, altre mirate a promuovere nuovi soggetti, così come l'avanzamento elettorale di liste caratterizzate dal rifiuto dei partiti, suggeriscono che esiste una domanda alla quale la sinistra politica non è riuscita a rispondere e che ha percepito anche Sel come omologata ai vizi del "palazzo" . Un'ulteriore difficoltà viene dall'appoggio del Pd al governo Monti e dalle spinte a interpretare questa scelta come premessa a una collocazione di lungo periodo del Pd in un quadro moderato. L'ipotesi di riaprire la partita dopo un ventennio di berlusconismo e di costruire una coalizione di centrosinistra è oggi molto più difficile. Ma non meno necessaria.
Su questa sfida discuterà il 30 settembre a Roma un'assemblea promossa attraverso il passaparola sui social network che in poche settimane ha acquisito una dimensione nazionale. Si chiama "Non affoghiamo nella vecchia politica la speranza rappresentata da Sel" e nasce da un documento che pone al centro il nesso che lega le ragioni fondative di Sel, la proposta politica e la qualità del soggetto politico (disponibile online su riprendiamocilapolitica.blogspot.it) . La distinzione tra chi rinuncia a una prospettiva di cambiamento per andare al governo e chi rinuncia a concorrere a un'esperienza di governo per garantire la propria identità si è già rivelata sciagurata in passato e oggi rischia di riproporsi, aggravata dal ricatto della speculazione e dai vincoli del quadro europeo. Sarebbe distruttiva una partecipazione della sinistra ad un'alleanza di governo segnata dall'egemonia moderata. Ma allo stesso modo sarebbe disperante dare per compiuta la normalizzazione moderata del quadro politico e rassegnarsi a un'opposizione che assuma come inevitabili le politiche liberiste e antipopolari.
Ma come pensare un'esperienza di governo che eviti le secche del passato, che regga al ricatto della speculazione e che contribuisca a una svolta nelle politiche europee?
Non ci salva dal rischio della subalternità la definizione di un decalogo di punti discriminanti su cui definire l'asticella della partecipazione a una maggioranza di governo affidata a una logorante contrattazione tra forze politiche. Senza costruire un'iniziativa politica all'altezza dell'ambizione di competere per definire il profilo strategico della coalizione, la sinistra si troverebbe di nuovo nella scomoda posizione o di essere indicata come responsabile della crisi della coalizione per aver forzato su punti programmatici, o di aver rinunciato alla coerenza cedendo alle pressioni della componente moderata. Non è possibile affidare la costruzione del profilo programmatico e strategico della coalizione al confronto tra gruppi dirigenti nelle dichiarazioni alle agenzie di stampa. In questo gioco i numeri e il richiamo alla stabilità e al voto utile uccidono qualunque possibilità di cambiamento. È necessario piuttosto spostare gli orientamenti diffusi e costruire un largo consenso facendo irrompere forze diverse.
La proposta di una sinistra che si cimenta col governo senza rinunciare ai propri contenuti incontra dunque oggi una oggettiva difficoltà. E così Sel, il soggetto che più di altri ha scommesso su questa possibilità.
Per costruire un centrosinistra innovativo serve riattivare canali di comunicazione tra partiti, esperienze, intelligenze e domande sociali. Per svolgere questo ruolo è necessario mettere in atto una forte autonomia politica e culturale. Lo sforzo di tenere aperto il dialogo tra il centrosinistra, il Pd, i movimenti, le realtà associative è possibile solo se si ha l'autorevolezza di farlo perché forti di un progetto innovativo. E non per inerzia o opportunismo.
La difficoltà di Sel dunque non nasce solo da un quadro oggettivo, ma dal non aver fatto tutti gli sforzi per essere corpo vivo, plurale, capace di produrre pratiche politiche innovative. Senza un confronto trasparente e partecipato questo disagio rischia di limitarsi alla lamentazione, all'invettiva e di tradursi in diffidenza o, peggio, in abbandono.
È necessario costruire una risposta alla crisi dei partiti tradizionali, di cui non abbiamo nessuna nostalgia, che non consista nella loro trasformazione in comitati elettorali, organismi di semplice perpetuazione del ceto politico. Una difficoltà che va ben oltre Sel e che deve produrre un'alternativa al confronto disperante e disperato tra politicismo e antipolitica.
Non si tratta di inseguire un'alleanza per l'autoconservazione ma di tenere aperta una prospettiva di trasformazione e scongiurare l'involuzione moderata del principale soggetto politico di centro sinistra, del suo elettorato e delle organizzazioni di massa di riferimento. Sel deve scegliere se svolgere questo ruolo.

 

il manifesto 31 agosto 2012

 

 

 

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