Intervista a Joseph Stiglitz
Quali pensate che siano le cause della crisi economica mondiale? E’ semplicemente una “classica” crisi di sovrapproduzione?
Non è una crisi di sovrapproduzione. Il problema è la mancanza di domanda. Ma dietro c’è un altro problema: gli Stati Uniti e l’Europa avranno bisogno di cambiare la struttura delle loro economie. Diventa urgente.
Nel XIX secolo, siamo passati dall’agricoltura all’industria. I lavoratori agricoli erano più del necessario. Hanno dovuto fare qualcosa di diverso e questa altra cosa era la fabbrica. Ora siamo nella stessa situazione.
Si passa dall’industria ai servizi. Abbiamo un’industria che funziona molto bene, che è molto produttiva. Ma fornisce molti meno posti di lavoro rispetto a prima. Tanto più che in parte se ne vanno nei paesi emergenti. I mercati non rendono un buon servizio per questo. C’è uno spazio da occupare per i governi.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa della crisi europea e delle misure di rigore e di austerità che i leader della zona euro ci fanno passare come le sole e uniche soluzioni per superare questa crisi.
L’austerità non è la soluzione. Non permette ai governi di aiutare le imprese a passare dalla vecchia alla nuova economia. Al contrario, essa limita le possibilità di sostegno.
Ora l’economia in Occidente sta passando dall’industria ai servizi: l’istruzione, la sanità, la cultura, il turismo, ecc. La cosa interessante è che tra questi settori, molti sono pubblici. Questo è il motivo per cui avremo sempre più bisogno dei nostri governi, ancora più che per l’industria, che già richiedeva l’intervento dello Stato. Il settore pubblico non deve solo dirottare il suo sostegno verso i nuovi settori, ma deve anche rafforzarlo.
Ad esempio, negli Stati Uniti, spendiamo troppi soldi per la difesa. Produciamo molte armi che non servono a combattere contro tutti questi nemici che non esistono. E’ spreco di denaro. Si finanziano anche molto le imprese, invece che i dipendenti. Sono degli esempi. È possibile riorientare la spesa verso quello che serve a rafforzare l’economia del futuro.
In Francia, la crescita ha subito un rallentamento, ma François Hollande ha annunciato tagli alla spesa e aumenti delle tasse che peseranno sulla crescita, per raggiungere gli obiettivi europei. Ci sta portando nel precipizio?
Limitare il disavanzo strutturale, come previsto dai trattati europei, funziona quando si è in piena occupazione, ma non quando si è in una fase di recessione. E’ irresponsabile cercare di avere un bilancio in pareggio o addirittura un disavanzo strutturale al 3% in una economia debole.
Penso che la decisione di François Hollande avrà conseguenze molto negative. L’austerità conduce alla recessione. L’austerità in Spagna ha portato alla depressione.
I leader europei tuttavia continuano a dire che la crescita è necessaria. E’ quello che continuano a ripetere da anni, ma non hanno proposto nulla di concreto in questa direzione. Ci sono stati alcuni progressi, ma arrivano molto lentamente e non saranno sufficienti.
Ad esempio, avete rafforzato la Banca europea per gli investimenti per consentirle di fare più investimenti. Ma la misura di ciò che viene proposto è troppo scarsa. Non sarà sufficiente a compensare i danni dell’austerità.
Non c’è un altro modo per rilanciare l’economia? Se è così, perché i capi di Stato europei insistono in questa direzione?
Il grande errore degli europei, e della Germania in primo luogo, è che fanno una diagnosi sbagliata del problema. Essi credono che la crisi derivi da un atteggiamento troppo spendaccione. Ma l’Irlanda e la Spagna prima della crisi erano in surplus . Non sono state le spese a mandarle a fondo.
E’ la crisi economica che ha causato il deficit, non il deficit che ha causato il rallentamento. Introdurre una maggiore austerità non farà che esacerbare la crisi. Ma i leader europei non lo capiscono.
Cosa bisogna fare?
L’area dell’euro soffre principalmente di un problema di regole, e i dirigenti non se ne occupano. Devono farlo. Essi devono:
mettere in comune i debiti;
implementare un sistema finanziario comune;
armonizzare le imposte;
modificare il mandato della Banca Centrale Europea, che si concentri non solo sull’inflazione, ma anche sull’occupazione, la crescita e la stabilità finanziaria.
Sono riforme da pianificare ed eseguire molto rapidamente, perché l’Europa è in declino e tutto ciò è costoso in termini di disuguaglianze e di erosione del capitale umano. I giovani devono cercare di costruire le proprie abilità ma passano il loro tempo disoccupati, cadendo nella disillusione e nell’isolamento.
George Soros si è espresso per dire che la cosa migliore per l’Europa è rifondarsi senza la Germania (parafrasando un po’). Lei è d’accordo con questa diagnosi?
Credo che abbia ragione quando dice che la Germania deve gestire, prendere in mano l’eurozona, oppure uscirne.
Egli sottolinea che, se la Germania lasciasse l’eurozona, questa si troverebbe probabilmente in condizioni migliori. Perché l’euro sarebbe meno apprezzato. Diventereste più competitivi, aumentereste le esportazioni, e sarebbe un bene per la vostra economia.
Cosa ne pensa dell’idea proposta da alcuni economisti (non necessariamente vicino al FN) di uscire dall’euro per uscire dalla crisi?
Ci sono vantaggi e svantaggi ad avere un grande mercato come l’Europa. Ma se non lo si può riformare, io non credo che sia poi così male tornare alle vostre vecchie monete.
Le unioni monetarie spesso durano soltanto un breve periodo di tempo. Ci proviamo, e o funziona o non funziona. Il regime di Bretton Woods è durato trent’anni. L’Irlanda ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito e ha creato una propria moneta. Quando succede è un grande evento, ma succede. Ed è possibile.
L’idea che sarebbe la fine del mondo è sbagliata. Sarebbe un periodo molto difficile, ma la fine dell’euro non sarebbe la fine del mondo.
Guardate la Spagna: il paese è in depressione, la metà dei giovani sono disoccupati. E cosa offre l’Europa? Aiuto, ma a certe condizioni. E queste condizioni sono basate proprio sugli stessi principi che hanno portato la Spagna alla depressione. Questa è la cura che uccide il paziente! Dire “Vi aiuterò, ma prima dovete suicidarvi”, non dà molte speranze.
Delle forme di protezionismo, per esempio in materia di criteri sociali e ambientali, non potrebbero stabilizzare l’economia globale e incoraggiare i paesi che praticano il dumping sociale e ambientale come principale strategia economica a convergere verso dei modelli più rispettosi della natura e degli uomini?
Imporre il protezionismo sarebbe un errore, perché si importa e si esporta. Se non importate più, gli altri paesi non compreranno le vostre merci. Quindi questa non è la direzione giusta da seguire.
Se si ha un tasso di cambio flessibile, invece che una moneta comune, è possibile regolare il cambio per rendere i propri prodotti più competitivi. E’ qui che l’euro ha posto un vincolo, come il gold standard durante la Grande Depressione. La domanda rimane la stessa: è possibile risolvere i problemi posti dall’euro? La risposta è sì, se si riformano le regole dell’euro.
Quello che serve è riuscire a spostare le persone dai settori meno competitivi ai settori più competitivi. Si tratta di sostenere l’occupazione, di garantire che le banche offrano finanziamenti per aiutare le persone a cambiare lavoro o a creare nuove imprese, di investire nelle università per avere più ricercatori, che lavoreranno nelle imprese più competitive.
Mentre molte persone si rammaricano per la deindustrializzazione, non è che alla fine l’industria è destinata a scomparire dai paesi più ricchi, come è quasi scomparsa l’agricoltura o alcune industrie come quelle estrattive?
In Francia, potete riuscire a riportare dei lavori che sono stati esternalizzati. Ma soprattutto occorre ricordarsi che la crescita della produttività è tale che, in ogni caso, avrete bisogno di meno lavoratori, delocalizzazione o no. E’ così ovunque. Anche in Cina, l’occupazione manifatturiera è diminuita. Dobbiamo accettarlo, è il prezzo del successo.
Francia, Germania e Italia da quel lato hanno prospettive migliori degli Stati Uniti. Voi disponete di un sistema di istruzione di qualità, una tradizione di piccole e medie imprese specializzate nel campo dell’ingegneria e delle alte tecnologie, che noi non abbiamo.
Gli Stati Uniti si sono specializzati nella produzione su larga scala e a basso costo. E in questo gioco, la Cina ha vinto. E’ difficile per noi competere. Ma per voi, a un livello di alta qualità, è più facile.
Tuttavia, è ancora necessario ristrutturare la vostra economia.
Su quali settori potremmo puntare in Francia?
La Francia ha per esempio un sistema di assistenza sanitaria che è molto efficiente e egualitario. E ci sono dei pazienti in tutto il mondo che vogliono questo livello di cure. Potete vendere i vostri servizi non solo ai cittadini, ma anche agli altri.
Senza spingersi fino a specializzarsi esclusivamente in questo. Avete anche tra i migliori studenti di ingegneria. Negli Stati Uniti sono i nostri migliori elementi. Si tratta di un’area da gestire. È necessario investire nelle vostre scuole.
Molti credono che la mancanza di competitività delle imprese francesi sia legata al costo del lavoro. Istituzioni come l’Unione europea o anche l’OMC non potrebbero intervenire per metter fine al livellamento verso il basso e al pericolo sociale che ne consegue?
L’idea che i problemi economici sarebbero risolti con un mercato del lavoro più flessibile è stata completamente screditata dalla crisi. Gli Stati Uniti hanno il mercato del lavoro più flessibile tra i paesi industrializzati occidentali, e ancora oggi, un americani su sei è in cerca di lavoro a tempo pieno senza trovarlo. Non ha funzionato.
Non bisogna puntare sulla flessibilità. Dobbiamo chiederci come spostare le persone dai settori vecchi ai nuovi. Questo implica flessibilità, ma anche sicurezza e formazione. Non bisogna aumentare l’ansia dei lavoratori, questo non fa che impedire il buon funzionamento del mercato del lavoro.
Cosa bisogna fare?
I lavoratori hanno bisogno di una prospettiva a lungo termine. Negli Stati Uniti, quando l’economia va male, le aziende possono licenziare. È flessibile. Si trovano a licenziare delle persone che sono state preparate, a volte a lungo. Perché si concentrano solo sui prossimi sei mesi. Delle volte succede che devono assumerle di nuovo quando la crisi è finita. Questo non è molto efficiente, mina la fedeltà e crea più disuguaglianze. Non funziona.
Pertanto, bisogna riformare il modo di procedere. Le imprese devono poter dire:
“Abbiamo tutti capito che dobbiamo cambiare, eppure non vi getteremo in mezzo alla strada. Faremo in modo di potervi spostare da un lavoro ad un altro.”
Come limitare il potere delle banche, come Goldman Sachs, che ora dirigono alcuni paesi (ad esempio la Grecia)?
Sappiamo cosa fare perché le banche si comportino meglio? Sì. Sappiamo che dobbiamo fare qualcosa a proposito:
. delle banche che sono dette troppo grandi per fallire;
. della trasparenza;
. della eccessiva assunzione di rischio;
. dei conflitti di interesse;
. dei prestiti spropositati;
e di tutte queste cose che Goldman Sachs ha praticato.
La questione non è se siamo in grado di regolare le banche. Sappiamo farlo, e in passato l’abbiamo fatto. Dopo gli anni ’30, le nostre banche funzionavano abbastanza bene.
Qual è il problema allora?
Il problema oggi è che le banche hanno molto potere, anche potere politico. E che i nostri politici sono guidati dal denaro. Negli Stati Uniti d’America, in particolare, devono trovare il modo di finanziare la loro campagna presidenziale. E poi devono ricambiare.
Tuttavia, anche negli Stati Uniti, abbiamo alcuni buoni sistemi di controllo delle banche. Non abbastanza per i miei gusti, ma anche troppo per i gusti delle banche. Questo significa che conosciamo i metodi.
Che cosa si dovrebbe fare?
Separare le attività commerciali dalle attività d’investimento delle banche, per esempio. Gli Stati Uniti non lo prendono in considerazione, ma è una buona idea.
L’abrogazione del Glass-Steagall Act [che stabiliva la separazione tra le attività di deposito e d'investimento delle banche, ndr] da parte del Presidente Clinton è spesso citato come il peccato originale della deregolamentazione e la fonte di caos finanziario che ha portato alla crisi del 2008. Che cosa gli avevate consigliato a quel tempo (Stiglitz è stato consigliere di Clinton, ndt) ?
Bill Clinton non ha abrogato il Glass-Steagall Act quando ero il suo consigliere, l’ha fatto dopo. Ma ne avevamo discusso molto. Io ero fortemente contrario, e all’epoca mi sono battuto contro Robert Rubin. Il segretario al Tesoro veniva da Goldman Sachs.
Citibank voleva diventare una banca universale. E il suo direttore, Sandy Weil, pensava di poter fare un sacco di soldi mettendo insieme le diverse attività delle banche. Ha fatto pressioni. Fino a ottenere quella che talvolta è stata definita “la legge Citibank”.
Il segretario al Tesoro Robert Rubin, poi è entrato in Citibank … La cosa interessante è che Sandy Weil ha detto di recente che bisognerebbe reintrodurre la separazione delle attività bancarie. Ho trovato questo capovolgimento di posizione molto scioccante.
Lei è stato ai vertici di questa economia. Perché non è stato possibile migliorare le cose quando lei guidava le istituzioni internazionali?
I poteri in atto sono molto forti. Ma dal di dentro, a volte si può fare in modo che le cose comincino a cambiare. E’ molto più difficile cambiarle completamente.
A volte si possono fare cose che sono poco visibili, ma sono importanti. Ad esempio, è importante per gli anziani poter acquistare dei titoli che siano protetti dall’inflazione. Alle banche questo non mi piace, a loro piace l’incertezza. Ma siamo riusciti a creare questi titoli protetti. La gente ha apprezzato, hanno avuto un grande successo.
Tutto dipende dalle dimensioni della lotta. Possiamo portare avanti tante piccole battaglie. Ma condurre grandi battaglie è molto più difficile.
Da Investireoggi, traduzione Carmen Gallu