di Diego Novelli
È morto Adalberto Minucci. Aveva ottant'anni e da tempo era stato colpito da una grave malattia. Scompare con lui uno degli ultimi berlingueriani, essendo stato per oltre un decennio uno dei più stretti collaboratori del segretario generale del PCI Enrico Berlinguer.
Giovanissimo si era iscritto al Partito Comunista a Grosseto, dove aveva iniziato la sua attività di giornalista presso la "Gazzetta di Livorno".
Nel 1954 veniva trasferito a "L'Unità" edizione piemontese, mettendo subito in luce le sue doti di intellettuale profondamente legato alla classe operaia.
Le sue inchieste tra i lavoratori della Fiat, dopo la clamorosa sconfitta della Fiom alle elezioni delle Commissioni interne nel 1955, furono preziose per il suo partito e per il movimento sindacale, per leggere e meglio capire la nuova realtà di fabbrica.
Dopo aver diretto per alcuni anni la redazione torinese del quotidiano fondato da Antonio Gramsci fu responsabile del PCI a Torino e in Piemonte.
Negli anni Settanta fu chiamato a Roma per dirigere il settimanale "Rinascita" entrando successivamente a far parte della segreteria nazionale comunista.
È stato eletto per due legislature alla Camera dei Deputati e per una al Senato.
Alcuni suoi libri testimoniano il suo grande interesse per le tematiche riguardanti il mondo del lavoro, la crisi del socialismo reale, l'ultimo capitalismo.
Ha vissuto la sua militanza nel PCI con passione, disinteresse personale, senza conformismi e con grande modestia.
Un esempio di dirigente politico, sempre disponibile al dialogo e al confronto, che non cercava il consenso a buon mercato, ma che in ogni suo atto si avvertiva che mirava alla crescita civile e culturale delle masse, in senso gramsciano. La sua coerenza politica non è mai venuta meno, non si sentiva un pentito, senza ostentare, ma con orgoglio si è sempre considerato idealmente un comunista.
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