di Daniela Preziosi

«La pazienza è finita. La porta che Rivoluzione civile ha lasciato aperta troppo a lungo da questo momento si chiude, ci rivedremo in parlamento». Antonio Ingroia a Roma presenta le liste rosso-arancioni e dichiara esaurita la fase del dialogo con Bersani. E chi - nel centrosinistra - sperava almeno in un gentlemen's agreement, resta deluso. Ieri i due si sono pizzicati per tutto il pomeriggio. «Abbiamo ricevuto proposte dietro le quinte, ma non possiamo accettare accordi: Monti è stato in continuità con Berlusconi e non possiamo dimenticare che il Pd ha appoggiato Monti e i provvedimenti che hanno colpito la gente», spiega Ingroia.

Fino a qualche giorno fa l'appoggio del Pd a Monti non aveva ostacolato la disponibilità al dialogo. Ma la richiesta di desistenza unilaterale viene giudicata irricevibile.
Così Ingroia rimanda al mittente l'appello al voto utile anche nelle regioni a rischio. «A me Berlusconi non fa paura, politicamente è finito. Il vero pericolo è Monti. Senza Rivoluzione civile in campo, quello inteso da Bersani sarebbe stato un voto utile non contro Berlusconi bensì a favore di Monti. E noi non possiamo aiutare Monti». Bersani, a distanza (ieri era a Milano) replica: «Per me resta Berlusconi l'avversario e non ho lezioni da prendere su legalità e trasparenza», anche se i suoi garanti hanno escluso in corner dalle liste siciliane e campane tre uomini chiacchierati - Crisafulli, Papalia e Caputo - benché stravotati dalle primarie. «Credo di poter dire ad Ingroia: attenzione, è il Pd e l'alleanza di centrosinistra che può costruire un'alternativa alla destra. Nessun altro». Controreplica di Ingroia: «È paradossale che debba ricevere da lui lezioni di antiberlusconismo. Se gli italiani hanno subìto per 20 anni l'incubo berlusconiano è anche grazie al Pd e alla sua opposizione inesistente».
Altro che dialogo, ora fra Italia bene comune e Rivoluzione civile volano botte da orbi. La coalizione dà fondo alla sua santabarbara. Se Bersani disdegna la trattativa e chiede «un gesto consapevole» agli elettori, Dario Franceschini su twitter va giù pesante: «Ingroia apre la porta alla destra», «col porcellum ogni voto sottratto al Pd è un voto regalato a Berlusconi e Lega». La polemica si incattivisce. Ne fa le spese Vendola, già obiettivo degli attacchi di Monti perché troppo a sinistra. Dalla parte opposta, se la prende con lui Di Pietro rispolverando l'accusa del tradimento: «Hai svenduto i nostri principi per allearti con i veterodemocristiani e per supportare le politiche inique di un governo che ha fatto pagare la crisi ai lavoratori, agli onesti cittadini, ai pensionati e ai giovani. Sei pronto a fare un compromesso con chi ha salvaguardato gli evasori, le lobby finanziarie e le banche». Parole «davvero tristi», replica Vendola, «mi auguro che il suo codice di interlocuzione non si avvalga di antiche modalità staliniste». E non abbassa i toni: «Ingroia usa il suo volto e la sua storia per coprire quattro piccoli partiti molto litigiosi». Ma l'argomentazione si spunta se a usarla è uno dei leader della coalizione di centrosinistra che proprio in questi giorni comincia a misurare le distanze con l'azionista di maggioranza: sulla guerra in Mali e sulla patrimoniale.
Per non dire sul rapporto post-voto con Monti, che Bersani e i suoi si ostinano a non definire «avversario»: come se i voti dati al professore non fossero sottratti al centrosinistra, né più né meno che quelli dati a Ingroia. E non lo sono, solo a patto di considerarli da subito alleati di un'unica maggioranza di governo. Vendola si destreggia. A Sky Tg24 spiega: «Se Monti fa autocritica e corregge alcune delle sue controriforme è un fatto positivo. Con lui si può costruire un compromesso importante». Ma poi è costretto a spiegare ancora: «L'alleanza con il centro per governo è fantascienza. Con Monti si può costruire un compromesso importante su quello che sarà il carattere prevalente della prossima legislatura, cioè il carattere costituente». Sulle riforme istituzionali, insomma.
Ma se Sparta piange, anche Atene non ride. Quel «ci rivediamo in parlamento» pronunciato da Ingroia suona come una minaccia al Pd. Ma anche come una promessa di riapertura di dialogo, a risultati elettorali acquisiti. Un'eventualità contro cui Paolo Ferrero, il segretario Prc - nell'alleanza rosso-arancione il più distante dalle posizioni del Pd - comincia già il fuoco di sbarramento: «Ingroia chiude al Pd chiarendo che Rivoluzione Civile è e sarà contraria alle politiche neoliberiste». Ferrero esclude in ogni caso un accordo con il centrosinistra dopo il voto? «Noi chiediamo un mandato sulle nostre posizioni. Poi se da parte del Pd e Sel ci sarà un rovesciamento delle politiche della Carta d'intenti, valuteremo», risponde al manifesto.

 

il manifesto 20 gennaio 2013

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