di Monica Pasquino

Beni comuni, giustizia sociale, lavoro, diritti civili e un nuovo modello di sviluppo erano le punte di diamante dell'alternativa di governo che le vittorie amministrative e referendarie del 2011 preannunciavano mentre mettevano in moto coalizioni larghe - politica, società civile, partiti, movimenti - che mescolavano le culture riformiste e quelle radicali, rompendo autismi, diffidenze e solitudini.
Oggi, quel cantiere plurale del rinnovamento, il protagonismo delle generazioni più giovani e la forza dirompente che proveniva dalla netta sensazione di essere davanti ad una discontinuità culturale, economica e sociale sono in standby, apparentemente immobilizzati dai vincoli europei e dal ricatto dei mercati affidati ad accordi elettorali verticistici, manovre illusioniste ed equllibrismi vari.

Eppure il processo di cambiamento era già iniziato, con i movimenti delle donne, degli studenti, di lotta al precariato, le associazioni e i comitati. E poi con i risultati elettorali ottenuti non troppo tempo fa a Napoli, Milano, Cagliari e altre città. Queste sono le forze che avevano costituito la base sociale e culturale dei sindaci dell' alternativa e dei grandi successi referendari che abbiamo ottenuto. Ancora oggi, pur nella difficoltà del governo, queste affermazioni sembrano ancora suggerirci qualcosa di significativo.
E' possibile recuperare quella ricchezza?
Il progetto politico lanciato da Sel è forse l'unico in grado di poterlo fare, sia per quanto riguarda il livello nazionale di governo, sia per quanto riguarda le prossime elezioni amministrative. Il Comune di Roma, ad esempio, che ha da sempre una valenza nazionale. Dobbiamo costruire una proposta di discontinuità dal punto di vista culturale, sociale, politico ed economico, che sia esplicitamente critico nei confronti delle precedenti amministrazioni comunali del centrosinistra e che preveda un nuovo modo di gestire l'azione pubblica e un'altra concezione urbana rispetto a quella avanzata da Alemanno.
Ovviamente farlo non è facile e non dipende solo da Sel.
Anche per questo, a maggio del 2012, l'Assemblea Nazionale di Sel approvava a piena unanimità un odg che chiedeva venissero «immediatamente convocati gli stati generali del futuro, come luogo per salvare il Paese», chiarendo subito dopo che «se Bersani ed il Pd dicessero di no, Sel e Idv sono pronti ad aprire il cantiere» e a farlo vivere perché «non si può immaginare un percorso verso le elezioni che sia sequestrato dai partiti, a partire dal nostro».
Ricominciamo da quella primavera, perché l'estate appena trascorsa non ci ha aiutato: ha alimentato ambiguità, preoccupazioni, disaffezione e strumentalità. Per fortuna questi ultimi giorni hanno prodotto un parziale recupero di fiducia: Vendola ha detto parole chiare sul rifiuto di ogni ipotesi di un patto di governo con l'Udc e si avvicinano due importanti battaglie, quella di Fava per la Sicilia e quella con Idv, Fiom e Fds per i nuovi referendum.
Sono elementi positivi, ma un altro passo altrettanto importante è ancora da compiere. Sel (e con lei la sinistra tutta) devono imparare a interloquire vicendevolmente e a confrontarsi al loro interno, seguendo metodi decisionali più democratici, partecipativi e trasparenti, valorizzando il ruolo delle assemblee locali e accogliendo l'esercizio della contraddizione, superando la cultura della demonizzazione della critica.
Questo chiedono i molti/e che stanno firmando il documento «Non affoghiamo nella vecchia politica la speranza rappresentata da Sel» (disponibile su www.riprendiamocilapolitica.blogspot.it/) e che si sono dati appuntamento a Roma, il 30 settembre (ore 10.30 presso la Sala Rossa del X Municipio, Piazza Cinecittà 11), per conoscersi, guardarsi negli occhi e ragionare assieme, per Sel, per ricostruire una sinistra politica plurale e innovativa, per un centrosinistra capace di realizzare un'alternativa di governo.

 

il manifesto 22 settembre 2012

 

 

 

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