di Luca Telese

Cinque ore di colloquio, un pugno di mosche, e una beffa. Un premier che vede un amministratore delegato per ricevere consegne, piuttosto che per darle. Sabato, Sergio Marchionne è arrivato a Roma e ha dettato le sue condizioni al governo, come un imprenditore che impartisce disposizioni ai suoi dipendenti. In Francia François Hollande e il suo governo hanno bocciato il piano di dismissione del gruppo Citroën-Peugeot con una sentenza lapidaria: «È irricevibile».

In Italia, la Fiat decide i tempi e i modi della ritirata dall’Italia a suo piacimento, come i pistoleros del Far West: «Faremo investimenti nel momento idoneo». Quando pare a loro, cioè.
Non succede nemmeno negli stati delle banane, dove i dirigenti della compagnie con il bollino dettano legge, ma almeno salvano la forma nel trattare coni presidenti-fantoccio per non sfigurare. Quello che è successo ieri a Palazzo Chigi è l’epilogo inquietante di una farsa grottesca che invece dovrebbe produrre dimissioni e proteste. Nessuno, ieri, ha chiesto scusa, per le balle raccontate in questi anni. Era una bufala il piano Fabbrica Italia, con i suoi 20 miliardi sventolati come una bandiera, e fatti sparire come una vergogna.
Era una mistificazione la campagna di intimidazione verso operai e sindacati scomodi, a partire dalla Fiom. Era una panzana colossale il minuetto sui nuovi modelli, annunciati uno dopo l’altro a Mirafiori, e poi ritirati, a partire dal fantomatico suv. Monti non ha chiesto a Marchionne nessun impegno. Non sorprende, visto che il suo ideologismo liberista lo porta ad un coerente e ripetuto errore: non porre condizioni all’azien - da, «la Fiat fa quello che gli pare». Elsa Fornero, una intransigente come un carroarmato quando si tratta di scippare anni di pensione ai lavoratori, o anni di contributi ai precari, ha fatto capire che il governo sarebbe disposto a concedere la cassa integrazione straordinaria alla Fiat, anche in deroga alle riforme appena votate.
Corrado Passera, quello che aveva promesso accompagnamento alla pensione sicuro agli operai di Termini Imerese (solo un attimo prima di farli diventare esodati) si è guardato bene dal chiedere conto degli impegni disattesi.
Ma il capolavoro che Marchionne è riuscito ad ottenere dal governo, è un impegno «a sostegno dell ’export». Una vera burla, se si pensa che degli ultimi sei modelli commercializzati in Italia dall ’azienda, cinque su sei sono prodotti all’estero: in Serbia, in Polonia, Canada, in America e Messico. L’unica cosa su cui il governo avrebbe dovuto pretendere risposte, e cioè l’impegno e l’elenco dettagliato dei modelli che intende sfornare negli impianti italiani, non è stata nemmeno affrontata. A Mirafiori, Musa e Idea smettono la produzione senza che ci siano rimpiazzi. E lo stesso rischia di accadere a breve quando Bravo e Delta usciranno presto dalle catene di montaggio senza eredi. Non c’è traccia della mirabile Topolino, la city car ad alto costo, già annunciata per i redditizi mercati urbani. Non c’è più traccia della Alfa di grande cilindrata che dovrebbe sfidare le Audi, nella fetta di mercato più ricca. E questo si aggiunge all ’immenso ritardo con cui è arrivato il famoso monovolume L0, oggi ribattezzato 500L, chedoveva essere prodotto in Italia. Per un lungo anno la vecchia Multipla è stata ritirata dalle concessionarie senza che nessun modello prendesse il suo posto: migliaia di vendite perse. Proprio come è accaduto per la Croma, che non ha trovato eredi, e solo per finta è stata coperta dalla presenza della Nuova Thema, un modello che secondo Quattroruote vende 40 (!) pezzi al mese.
E che dire di Irisbus? Nemmeno una parola, dal governo, su una azienda strategica, visto che è l’ultima a produrre autobus. Mica male per un governo liberista a parole, quando si tratta di fare proclami, e dipendente e servile nei fatti quando deve difendere i diritti di chi lavora.

 

Pubblico 24 settembre 2012

 

 

 

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