di Eugenio Montesano

«I love Tottenham» proclama un enorme striscione fuori dalla stazione della metropolitana di Tottenham Hale. Non è l’unico: all’incrocio con la High Road, il corso principale, le palizzate dei cantieri e le impalcature degli edifici in costruzione sono tappezzate con questo messaggio. Più che uno slogan, suona come un monito. Hanno bisogno di ricordarselo, gli abitanti del quartiere a nord di Londra devastato dalle violenze di un anno fa. Era il 6 agosto 2011 quando l’uccisione da parte della polizia del pregiudicatonero Mark Duggan, sfuggito a un controllo,fece esplodere la protesta precipitando il quartierenella guerriglia urbana.
Quella notte negozi e edifici simbolo di un’intera comunità furono messi a ferro e fuoco insieme ai cuori della gente. Le ferite sono state profonde, e le cicatrici sono ancora sotto gli occhi di tutti.

Al posto del palazzo in stile art déco che ospitava il negozio di tappeti Carpet Right, le cui immagini mentre veniva raso al suolo dalle fiamme fecero il giro del mondo, non c’è più niente. Le gru sono ferme, e i lavori procedono a rilento.
«Sopra al negozio c’erano ventisei appartamenti, tutti abitati. La notte delle rivolte ho aiutato una famiglia a uscire dall’edificio in fiamme. È stato terribile, c’erano anche due bambini, li ho portati in ospedale a causa del fumo che avevano respirato. Ho temuto per la loro vita» ricordaIdris Mensa-Bonsu, ventitré anni, responsabile del Potters House Christian Centre, un centro evangelico e luogo di ritrovo per molti giovani neri del quartiere.
La storia di Idris non è l’unica testimonianza del coraggio degli abitanti di Tottenham. Un anno dopo la violenza, la maggior parte delle attività e dei negozi che sono stati saccheggiati o bruciati ha riaperto i battenti. «Open for business» si legge sulla paliz- zata che protegge l’entrata all’ufficio di collocamento – non a caso,uno degli edifici colpiti più duramente dai rivoltosi. Anche l’ufficio postale, che era stato sventrato dalle fiamme, ha trovato una nuova collocazione qualche civico più avanti.
Da queste parti la voglia di buttarsi il lungo incubo alle spalle è forte, ma voltare pagina non è facile. Eddie East, diacono della Chiesa Cristiana Evangelica Battista di West Green, mette in guardia contro facili ottimismi. «Le rivolte sono state causate da un mix esplosivo di povertà, sfiducia e rabbia. Mi dispiace dirlo, ma può succedere ancora: il risentimento dei giovani nei confronti dell’autorità è forte, e i problemi sociali che hanno scatenato le insurrezioni non sono stati per nulla risolti».
Il suo lavoro di volontariato lo porta quotidianamente a contatto con i giovani di Tottenham. «La disoccupazione giovanile è un vero e proprio cancro, qui» spiega. «Nella sola Northumberland Park (il sobborgo a due passi dallo stadio dei Tottenham Hot- spurs, ndr) più del 25% degli over-18 non ha un lavoro. I ragazzi passano le loro giornate in mezzo alla strada, ognuno nella sua gang, aspettando solo di azzuffarsi».
Neanche chi un lavoro ce l’ha se la passa tanto bene. Niche Mufwankolo non dimenticherà facilmente la notte in cui fu costretto ad assisteredalle telecamere a circuito chiuso del suo ufficio allo spettacolo di un gruppo di vandali che gli devastavano il locale. Il suo pub, il Pride of Tottenham, l’orgoglio lo porta nel nome. Ha riaperto ma gli affari non decollano perché, racconta, ancora oggi il quartiere ha una pessima fama. «Qui non c’è più business» dice rassegnato mentre indica il locale, semivuoto a ora di pranzo. «Le sommosse hanno messo Tottenham ko, e non ci sono segni di miglioramento. Ce la stiamo mettendo tutta per rimetterci in piedi, ma è durissima».
A pochi giorni dalle rivolte il primo ministro David Cameron promise che il governo sarebbe stato vicino a Tottenham e ai suoi abitanti. Un anno dopo, che cosa è stato fatto concretamente? «È stato un processo lungo e difficile, ma ho ottenuto un risarci- mento, sì. Mi è bastato per riaprire il locale, ma non per riportarlo alle condizioni originali. Per quello ci vorrà ancora molto tempo, come per tutto il resto del quartiere». Su Tottenham High Road, tra mamme trafelate con le buste della spesa attaccate ai manici dei passeggini e gruppi di ragazzini di ritorno da una partita di calcio, i predicatori di strada del sabato mattina, bibbia in una mano e megafono nell’altra, declamano i loro salmi. «Neppure il vento li sta più a sentire», commenta amaro Niche. La sal- vezza è altrove.

 

Pubblico 30 settembre 2012

 

 

 

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